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STATI UNITII dem Usa cercano la riscossa e scelgono presidente

25.02.17 - 21:17
I dem Usa cercano la riscossa e scelgono presidente

WASHINGTON - I Democratici statunitensi ripartono da Atlanta, dall'elezione del presidente del comitato nazionale del partito (Dnc) per sfidare la nuova era Trump.

È il primo passo della rinascita dopo le ferite dello scontro tra Hillary Clinton e Bernie Sanders nelle primarie e la cocente sconfitta delle ultime elezioni, che hanno consegnato ai repubblicani il controllo della Casa Bianca, del Congresso e dei due terzi dei governatori e dei parlamenti locali. Oltre a quello della Corte suprema, con la nomina dell'ultra conservatore Neil Gorsuch.

Mai in precedenza la scelta del presidente del Dnc era stata così incerta sino alla fine, con vari round di votazioni che richiedevano la maggioranza dei 442 delegati.

Generalmente il candidato favorito emergeva prima, rendendo le urne una pura formalità. Fin dall'inizio, comunque, è sempre stato un duello tra due personalità che rappresentano le due principali anime del popolo dem: quella moderata che fa riferimento ad Obama e ad Hillary Clinton, e quella più liberal rappresentata dal duo Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.

Obama appoggia apertamente l'ex ministro del Lavoro Tom Perez, 55 anni, di origini ispaniche, ex avvocato per la difesa dei diritti civili, apparentemente in lieve vantaggio tra i 447 delegati. Con lui anche la Clinton, che però è rimasta lontana dai riflettori.

Il candidato dell'ala progressista è invece Keith Ellison, 53 anni, del Minnesota, afroamericano, primo musulmano della storia eletto in Congresso: un azzardo in epoca Trump. Tra i suoi sostenitori anche il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer e il sindaco di New York Bill de Blasio.

Il presidente uscente del Dnc, Howard Dean, era invece per un terzo candidato, Pete Buttigieg, 35 anni, sindaco di South Bend, Indiana, che però è stato il primo a ritirarsi dalla corsa, senza dare il suo endorsement a nessuno.

Ciascuno dei front-runner ha promesso comunque una resistenza aggressiva contro l'amministrazione Trump, di fronte ad una base elettorale già proiettata verso un possibile impeachment, e la ricostruzione dell'organizzazione del partito a livello statale e locale: una tacita ammissione dell'indebolimento dei Dem durante gli otto anni dell'amministrazione Obama, nonostante il suo successo elettorale personale. Ma, cosa ancora più importante, entrambi i duellanti si sono impegnati all'unità, a prescindere dall'esito del voto.

Nel suo intervento Perez, che si è voluto scrollare di dosso quell'etichetta di rappresentante dell'establishment rimasta appiccicata negativamente a Hillary in campagna elettorale, ha detto che il partito si trova di fronte ad una "crisi di fiducia" e di "rilevanza" dopo aver perso 1000 posti tra Capitol Hill e i parlamenti locali durante gli ultimi 10 anni.

"Abbiamo bisogno di un presidente che non solo combatta Donald Trump ma che garantisca un messaggio positivo di inclusione e opportunità e parli alla grande comunità del partito democratico".

Ellison, dal canto suo, ha definito i democratici come quelli che faranno sentire la propria voce, "insorgeranno e proteggeranno il popolo americano", promettendo di trasformare la dimostrazione di energia in energia elettorale e privilegiando le piccole donazioni per finanziare il partito.

In realtà non si sono sentiti grandi discorsi e grandi strategie. È vero che il presidente del partito non è necessariamente il suo futuro leader e che ha un ruolo fondamentalmente organizzativo.

Ma sembra che i democratici inseguano troppo la resistenza a Trump senza essere ancora in grado di articolare un programma alternativo e convincente, capace di parlare più direttamente ad una working class bianca che si sta spostando nel campo repubblicano.
 
 

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