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ITALIA«Ci rivedremo tutti lassù prima o poi»

26.08.16 - 20:30
Le testimonianze dei sopravvissuti di Amatrice. Il loro ricordo rivolto a coloro che non ce l'hanno fatta. Le imprecazioni contro gli sciacalli e le troupe televisive. E infine il silenzio...
ticinonline/20minuti
Il citofono, l'unica cosa che rimane del palazzo.
Il citofono, l'unica cosa che rimane del palazzo.
«Ci rivedremo tutti lassù prima o poi»
Le testimonianze dei sopravvissuti di Amatrice. Il loro ricordo rivolto a coloro che non ce l'hanno fatta. Le imprecazioni contro gli sciacalli e le troupe televisive. E infine il silenzio...

AMATRICE – Il citofono è lì, con i nomi. È l'unica cosa che rimane del palazzo. «Ci vivevano quattro famiglie, li conoscevo tutti». Ora sono all'ex orfanotrofio, un enorme stabile alle porte di Amatrice adibito a obitorio. Claudio sembra voler pigiare i campanelli, per richiamarli. «Sarebbe inutile, e poi ci rivedremo tutti lassù prima o poi» dice, lo sguardo stanco. Come quello di Maurizio, che alla porta dell'hotel dove lavora(va) tiene lontani gli sciacalli e pensa al nipote di 9 anni, sparito tra le macerie.

I volti e le voci che s'incontrano, qui, hanno tutte qualcosa in comune. E anche le storie. La casa di Claudio ora è un cumulo di macerie, come il 50 per cento del paese al centro della “area rossa”. Poche case più avanti, ieri sera i soccorritori hanno estratto il corpo di una 75enne. Il figlio, un uomo sui 40anni, si aggira agitato davanti alle transenne che chiudono il centro storico. Racconta che «quando l'hanno chiusa in un telo c'era un giornalista a fotografarla». Per lui «è stato un insulto». E impreca contro le troupe televisive che ostacolavano i mezzi dei Vigili del Fuoco.

In realtà la macchina dei soccorsi, che da tre giorni ha preso in carico il paese, procede con un suo ordine; non la intralciano i riti del dolore, né quelli del circo mediatico. C'è chi è accorso per vedere la casa di un famigliare, crollata per il peso del tetto in cemento. «Siamo stati ora a riconoscere nostra cugina all'ospedale, viveva qui» racconta un gruppo di parenti venuti da Roma. Altri sono semplici curiosi. Si formano crocchi di muratori, pensionati venuti dai paesi vicini a condividere un parere geologico, o buttar lì una parola di cordoglio.

«Non ho più niente se non quello che mi hanno dato i volontari» racconta Claudio, inseguito dal microfono di una Tv tedesca. Sorride: «Sono ancora qui perché l'altra notte ho fatto tardi al bar». Segue il racconto (l'ennesimo) della notte di mercoledì: gli amici al bar del centro, la scossa, la fuga all'esterno. Il sopravvissuto mostra la mano ingessata. «Me la sono rotta prendendo in braccio un ragazzino, abbiamo corso fino ai campi da tennis fuori dal paese. Dopo un po' sono tornato indietro e c'era un silenzio terribile».

Quello del silenzio è un dettaglio ricorrente, nei resoconti. «All'inizio sentivo grida ovunque, anche di bambini, dopo tre ore il nulla. Non si sentiva più nulla» conferma il signor Maurizio, che tra le macerie ha perso un fratello, la cognata e un nipote di 9 anni. Lui era all'hotel Castagneto, come custode notturno, poco lontano dalla Chiesa di San Francesco. Mercoledì aveva 31 ospiti, tutti vivi – anche grazie a lui.

«Alcuni li ho tirati fuori con le mie braccia» racconta seduto sulla soglia: da tre giorni controlla che gli sciacalli non s'avvicinino. «Quando tutto sarà finito mi trasferirò a Roma. Cercherò un altro lavoro». Sperare in una rinascita dell'albergo (e del turismo)? «Impensabile». Intanto anche lui, come tutti, si avvia alla tendopoli della Protezione civile. Per la terza volta dall'ora della tragedia. Augurandosi che la notte non tremi di nuovo.

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