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SPAGNAGarcia Lorca: il mito a 80 anni dalla morte

19.08.16 - 14:38
Garcia Lorca: il mito a 80 anni dalla morte

MADRID - Jacques Prevert a parte, è sicuramente Federico Garcia Lorca il vero grande poeta più popolare presso i giovani, anche perché i suoi versi richiamano subito immagini di gioventù, non solo perché ucciso ancora giovane lui stesso, a 38 anni il 19 agosto 1936, per cui sono giusto ottanta anni, ma perché l'infanzia per lui era uno stato d'animo: vedeva con gli occhi di un ragazzino, sognava come i ragazzi sognano in un profluvio di fantastiche metafore e grazie a una lingua poeticamente nuova meno astratta, più carnale e aperta ai sensi.

Uno dei suoi punti di forza specie in quel "Romancero gitano" pubblicato quando aveva 30 anni è che è il libro più amato e un po' il manifesto di una poetica, è l'essersi rifatto e aver rinnovato la metrica, il ritmo del Romancero appunto, dell'antica e musicale poesia popolare spagnola di cui era studioso. Crea così il mito idealizzato dei gitani, fieri e ribelli, liberi e che vivono di contrabbando perseguitati dalla Guardia Civil, ma soprattutto passionali, donne e uomini che si scoprono e vivono storie d'amore e morte, spesso tragiche ma sensualissime e colme di quel desiderio che tanto coinvolge i giovani cuori dei suoi lettori. Storie di passione e sangue che avranno il loro culmine nei suoi testi teatrali, da "Yerma" a "La casa di Bernarda Alba", quasi intensi poemi da recitare a più voci.

Non a caso la musica è stata una delle sue passioni e Manuel de Falla fu suo maestro e amico carissimo, con cui organizzò corsi di 'Cante jondo', canto gitano della Spagna meridionale. Nel 1932 aveva avuto incarico, con Eugenio Ugarte, dalla neonata Repubblica di creare un gruppo teatrale universitario, "La baraca" che portasse i classici in giro per la provincia per cercar di far rinascere la cultura del paese.

Con tutto questo c'è poi il mistero della sua morte tragica, arrestato da un gruppo di estremisti franchisti per i suoi sentimenti democratici e socialisti e fucilato dalla Guardia Civil all'inizio della guerra civile, sepolto non si sa dove, mentre era in partenza per gli Stati Uniti, dove era già stato, studente alla Columbia University di New York nel 1929-30, di cui è testimonianza la raccolta "Poeta en Nueva York", già denuncia dell'eccessiva frenesia e della competitività di quel paese. Un mistero, quello della sua fine, oggi in buona parte svelato ma che ha appassionato e coinvolto lettori e storici per decenni e su cui punti oscuri ancora oggi si torna periodicamente, ogni volta che qualcuno ha scoperto o crede di aver scoperto un particolare in più su quei suoi ultimi giorni.

La vera importanza del mito "incandescente" e tragico di Garcia Lorca, nato vicino a Granada nel 1898, laureato in legge trasferitosi a vivere a Madrid, è stata quella di aver aperto la strada alla scoperta della grande poesia spagnola, mortificata dal franchismo, rendendole il posto che le spettava nella letteratura del XX secolo. E nomi sono spesso quelli del giro di amici di Federico a Madrid, di cui, con Salvator Dalì e Louis Bunuel, facevano parte da da Rafael Alberti a Vincente Aleixandre a Gerardo Diego, con in testa a tutti, anche se meno intimo e più appartato, l'altro grandissimo, Antonio Machado.

Come ha scritto Cesare Segre, "Lorca lavora in un clima surrealsta e cubista: scomposizioni e ricomposizioni, deformazioni espressive, sono per lui naturali, Ma la sensibilità contemporanea la manifesta anche tramite elementi del folclore andaluso, e questa convergenza è sua e solo sua". Un folclore trasceso, senza nulla di folcloristico a far colore. È la sua personalissima forza che ha l'elemento base in una ricchezza di metafore che si spalancano su un universo di astri, animali, bambini in una fantasmagoria di colori personali (notti verdi, vento gallo, arcobaleni neri...) con grande efficacia espressiva, anche quando il senso preciso può sfuggire, come Lorca diceva sfuggisse a lui stesso, fossero semplicemente sue visioni. Insomma, un poeta "in cui si avvertiva una colorazione geniale di aurora" per usare le parole di Jorge Guillen, mentre Pablo Neruda ha scritto che "portava con sé la felicità",
 
 

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