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CORRISPONDENZE ESTERO"Non sono un medico, ma quante persone ho vaccinato!"

31.01.15 - 12:52
Gabrielle Bernasconi, ieri in Ticino oggi in Uganda
"Non sono un medico, ma quante persone ho vaccinato!"
Gabrielle Bernasconi, ieri in Ticino oggi in Uganda

KAMPALA - A Bushenji, una cittadina del sud-ovest dell’Uganda, l’associazione BIRD (Bushenji Integrated Rural Development) fornisce assistenza medica a dei villaggi sperduti nelle colline ugandesi. Durante il nostro soggiorno in Africa, abbiamo partecipato ad una missione nel piccolo villaggio di Bivari e pur non avendo nessuna esperienza nel campo medico, abbiamo vaccinato più di un centinaio di neonati.

Durante la notte delle piogge torrenziali siamo stati svegliati di soprassalto, sembrava che un diluvio stesse devastando la nostra casa, ma era soprattutto il tetto di ferro che faceva rimbombare il rumore della gocce. L’indomani le strade erano inondate e abbiamo dovuto aprire un passaggio fra le innumerevoli pozze che si erano formate, stando attente a non scivolare sulla terra rossa e argillosa. Avevamo appuntamento alle nove di mattina con Sister Ephrance, una donna coraggiosa e sorridente dall’età indefinita, fondatrice dell’associazione BIRD. Dopo le presentazioni dello staff che partecipava alla spedizione e dopo diverse fermate nei commerci locali per rifornirci in cibo e materiale sanitario, ci siamo diretti finalmente verso la nostra destinazione.

Il viaggio sembrava interminabile, è durato più di due ore. La nostra jeep bianca sfrecciava sulle strade di terra, piene di buchi, arrampicandosi sulle colline sempre più inerpicate e verdeggianti. Il paesaggio era splendido, ma monotono: piantagioni di banane e tè a perdita di vista. Ballonzolati a destra e a sinistra, ho iniziato ad avere la nausea e facevo fatica a seguire la conversazione dei nostri colleghi, preferivo ammirare la natura ugandese e salutare gli africani che ci osservavano abbagliati, sorpresi alla vista di due Musungu (bianchi). Bambini sorridenti correvano a piedi nudi dietro il nostro mezzo di locomozione finché si stancavano e facevano marcia indietro. Queste campagne erano piene di vita e decine di piccoli commerci sorgono ai lati della strada diroccata. Finalmente giungevamo a destinazione: il villaggio era formato da una ventina di catapecchie, rosse come la fertile terra ugandese, costruite con fango e paglia. Tutto il villaggio si era riunito in cerchio e ci aspettava pazientemente. C'erano almeno centocinquanta persone, soprattutto donne e bambini vestiti di mille colori. Molte di queste persone erano venute dai villaggi circostanti per poter beneficiare del prezioso aiuto medico che l’associazione fornisce due volte al mese a questo paesello.

Una volta scesi dal veicolo, i bambini si sono avvicinati con cautela, ci osservavano, timidi e curiosi. I loro vestiti erano sporchi e anche se non si vedevano bimbi fortemente denutriti, la maggior parte di essi non erano in buona salute. Un giovane molto curioso aveva le gambe eccessivamente arcate, uno studente di medicina che partecipava alla spedizione mi ha spiegato che è per la mancanza di vitamina D e che anche che il diabete è un problema molto serio, soprattutto quello ereditario, in certe località è addirittura è un’urgenza sanitaria più importante dell’AIDS. Un altro bimbo starnutiva frequentemente e poteva avere una polmonite. Devo precisare che eravamo a quasi 2'000 metri di altitudine e il vento soffiava con forza, di notte la temperatura era scesa sotto i dieci gradi. Qua i bambini non hanno giacche e corrono scalzi.

Insomma i problemi sono numerosi e i mezzi sono scarsi, però una cosa c’è ed è fondamentale: la volontà di uscire dalla condizione di miseria. Infatti Sister Ephrance mi spiegava che la gente del villaggio ha regalato all’associazione BIRD un terreno dove poter edificare un ospedale e sono disposti a fornire manodopera per aiutare a costruire l’edificio. Il capo del villaggio ci ha mostrato il terreno, situato in cima ad una piccola collina, dove crescono erba e arbusti selvaggi. Un tale progetto non verrebbe a costare più di 40'000 dollari, comprese tutte le infrastrutture mediche necessarie, un prezzo ridicolo paragonato al costo della salute in Europa. La visione proattiva di questi abitanti, il fatto di non rassegnarsi ad un destino di miseria, il voler migliorare la propria esistenza domandando aiuto, non è un dato di fatto. È un atteggiamento esemplare che non tutti gli africani hanno, Sister Ephrance me ne ha parlato con grande gioia e soddisfazione, facendomi capire che era una novità della quale era molto orgogliosa.

Dopo la visita del terreno dove sorgerà l’ospedale, siamo stati invitati a sederci ad un tavolo sul quale è stata allestita una merenda a base di banane, pane e tè. Il tè aveva un fortissimo odore di legna bruciata che copriva l’odore della teina. Ad un certo punto ci siamo alzati ed abbiamo iniziato ad aiutare questi poveri abitanti che ci osservavano mentre ci riempivamo copiosamente lo stomaco. Ci hanno dato delle gocce da somministrare ai bimbi, le donne litigavano e si spintonavano per poter arrivare in prima fila, affinché i loro figli potessero beneficiare del prezioso medicamento (in questo caso gocce contro il colera). Ed avevano ragione perché non c'erano abbastanza fialette per tutti e certi bambini non hanno potuto essere vaccinati. In seguito l’infermiere ci ha mostrato una siringa spiegandoci come infilare l’ago nella coscia del neonato. Non avevo i guanti e nessuna esperienza nel campo, i bimbi piangevano e gesticolavano anche se le madri facevano di tutto per tenerli tranquilli. Ogni donna aveva un quaderno di vaccinazione e in questo modo abbiamo scoperto che stavamo vaccinando i bimbi contro la polio, il tetano, l’epatite. La polio non deve essere somministrata nel muscolo ma sottocutanea. Noi non eravamo nemmeno sicure di farlo correttamente. Abbiamo vaccinato sicuramente più di cinquanta bimbi, magari cento. Ci rendiamo conto della povertà nella quale vivono, della loro scarsa salute, dei vestiti e dei corpi sporchi per la mancanza di igiene, la maggior parte di loro sono coperti solo da una camicia. Non esistono pannolini e un bimbo mi ha addirittura urinato sui vestiti…

Non saprei dire quanto tempo fosse passato quando mi sono accorto che stavo vaccinando l’ultimo bimbo della fila. Eravamo esauste ma sentivamo entrambe un forte sentimento di soddisfazione. La nostra missione è stata compiuta e dopo aver salutato gli abitanti de villaggio ci siamo diretti verso la jeep. Ci aspettavano altre due ore e mezza di viaggio sulla strada diroccata e siamo giunte a casa poco prima del tramonto, stanche ma felici.

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