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CORRISPONDENZA ESTEROUn ticinese negli Stati Uniti ci racconta il suo Giorno del ringraziamento

28.11.14 - 10:00
di Giacomo Filippini, ieri in Ticino oggi a Charleston
Foto G. Filippini
Un ticinese negli Stati Uniti ci racconta il suo Giorno del ringraziamento
di Giacomo Filippini, ieri in Ticino oggi a Charleston

NEW YORK - Negli Stati Uniti l’ultima settimana di novembre ha da sempre un sapore speciale. Non tanto perché il Natale è ormai alle porte, ma perché si celebrano due avvenimenti che, per quanto possano essere agli antipodi, sono entrambi fortemente radicati nell’American way of life, gli usi e costumi nordamericani insomma. Questi sono il Thanksgiving Day e il Black Friday: una festa religiosa da una parte e il culto del consumismo più feroce dall’altra.

Oggi voglio raccontarvi il mio primo Thanksgiving, il Giorno del Ringraziamento. Chi non ha mai visto infatti in qualche film il classico momento in cui tutta la famiglia vestita a festa è riunita in preghiera attorno alla tavola imbandita? Gli statunitensi, estremamente conservatori nel rispettare le loro spesso giovani tradizioni, prendono molto sul serio questo giorno di festa in cui ci si ritrova per ringraziare il Signore per quello che si è ricevuto durante l’anno. Le origini del Giorno del Ringraziamento risalgono alla metà del 1600 quando i pellegrini giunti dall’Europa iniziarono a celebrare in questo periodo un giorno in onore del raccolto. Dal 1777, dopo la vittoria delle Tredici Colonie nella Guerra d’Indipendenza, il Ringraziamento si festeggia in tutti gli USA il quarto giovedì di novembre. Scherzi del destino, furono proprio gli inglesi che avevano introdotto questa celebrazione ad essere sconfitti in guerra.

Ma come si celebra il Giorno del Ringraziamento ai giorni nostri? Se è vero che Hollywood mente spesso e volentieri, è altresì interessante sapere che in questo caso quello che si vede nei film rispetta a grandi linee quelli che sono i festeggiamenti reali di tante famiglie. Ecco quindi che oltre ai vestiti della festa e alla birra fresca non deve assolutamente mancare l’enorme tacchino arrosto che il padrone di casa ha il compito di tagliare e servire a tutti i commensali proprio come vuole il rituale. La ciliegina sulla torta infine è la partita di football da guardare in TV stravaccati sul divano. Thanksgiving si festeggia in ogni angolo del Paese, ma è negli Stati del sud, maggiormente legati alle tradizioni religiose, che la festa acquisisce un’importanza ancora più speciale. Al di là di quello che possa essere il legame personale con la Chiesa, vivere in prima persona questa festa è un’occasione unica per entrare in contatto con la cultura nordamericana più autentica. Io ho avuto la fortuna di passare il Ringraziamento con un gruppo di amici a Charleston, in Carolina del Sud. L’ambiente era decisamente meno formale e “costruito” rispetto a quello che si potrebbe trovare in una famiglia (e nei film): i vestiti non così “della festa”, il tacchino buono ma bruciacchiato, le sedie di plastica e spaiate e la tovaglia non solo non era di pizzo, ma non c’era proprio. Ma questi sono solo dettagli di secondaria importanza comparati con l’atmosfera generale, l’importanza del pranzo comunitario, i sinceri ringraziamenti dei presenti e quel sottile alone di nostalgia negli occhi di chi per una ragione o per l’altra non ha potuto festeggiare in famiglia. In perfetto stile made in USA la quantità di cibo cucinata era nettamente superiore a quella che avremmo potuto umanamente ingurgitare. Tra i piatti tipici locali, oltre al tacchino, è stato servito un buonissimo puré di patate dolci dal forte colore arancione e per dessert abbiamo mangiato la pumkin pie, la famosa torta di zucca. A rendere questo Ringraziamento più speciale c’abbiamo pensato noi stranieri contribuendo all’esagerazione culinaria con alcune prelibatezze europee, nella fattispecie una tortilla di patate e un vin brulé sperimentale. Alla fine non ci restò che ringraziare per l’abbondanza e attaccare finalmente il primo pezzo di tacchino. In sottofondo, naturalmente, il telecronista seguiva la corsa di qualcuno verso la meta con la palla ovale sottobraccio.

 

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