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Il 9 giugno scorso Tom Vek ha dato alle stampe il suo terzo album, dal titolo, paradossale, Luck (Moshi Moshi Records). Nel corso di un’interurbana ne racconta la genesi
LONDRA - Un disco costruito a ridosso dell’inquietudine, forse il più comune affanno dei nostri tempi, capace di portare l’essere umano ad aggirarsi, e a precipitare, in un mondo saturo di informazioni. “Osservando attentamente la mia vita e quella degli altri, ho voluto analizzare la frustrazione, l’insoddisfazione collettiva, di una società in moto perpetuo alle prese con l’inutile ricerca di una collocazione basata su migliaia e migliaia di schemi preimpostati, preconfezionati…”, mi spiega Vek. “L’uomo, incapace di focalizzarsi su un obiettivo definito, d’un tratto, perde sé stesso… In quel punto, in quegli istanti, virare e trovare una via di fuga è quasi impossibile…”.
Undici tracce nel mezzo delle quali Tom Vek (polistrumentista) - recuperando l’essenza electro punk di We Have Sound (Tummy Touch/Go! Beat Records, 2005) e i riverberi, poco più duttili, di Leisure Seizure (Island Records, 2011) - oscilla di nuovo all’interno del suo limbo inviolabile, ammaliante, costruito, come sempre, in completa autonomia, al di sopra di una ricerca sonora costante, “cibandosi – continua – di produzioni come Actor (4AD, 2009) e Strange Mercy (4AD, 2011) a carico di St. Vincent e dell’opera omnia dei Deftones…”.
“Il processo di lavorazione di Luck ha incominciato a svilupparsi nei primi mesi del 2012, registrando l’embrione di ogni idea tra le mura del mio home studio qui a Londra… – aggiunge, prima di concludere – Il risultato è l’evoluzione, o il regresso, di ogni prototipo, che, questa volta, ho voluto sagomare senza l’apporto di un produttore, eludendo, di conseguenza, qualsiasi forma di contaminazione esterna…”.
Infos: tomvek.tv
