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BELLINZONAL’umanità delle cose si ferma a Bellinzona

16.01.15 - 06:00
“Prossima fermata Bellinzona”. La seconda produzione del Teatro Sociale firmata da Flavio Stroppini e Monica de Benedectis protagonista del fine settimana
L’umanità delle cose si ferma a Bellinzona
“Prossima fermata Bellinzona”. La seconda produzione del Teatro Sociale firmata da Flavio Stroppini e Monica de Benedectis protagonista del fine settimana

BELLINZONA - Tutto è nato da un ritardo. Questa la scintilla che ha portato Flavio e Monica sui binari di Prossima fermata Bellinzona. Nell’attesa "ci siamo ricordati dell’invito a visitare l’archivio dei sindacati dei ferrovieri" raccontano. "Ci siamo andati. E là, abbiamo capito: raccontare la storia della ferrovia in Ticino è come guardarsi allo specchio e intravedere nei propri lineamenti le tracce evidenti del nostro passato. Abbiamo pensato al futuro, al presente e con tutto quel passato a disposizione, con tutte quelle storie… dovevamo fare qualcosa. Rac-contare: per non dimenticare, per costruire una stazione dalla quale tutti quanti, assieme, potremmo ripartire".

Cosa andrebbe ritrovato per costruire quella stazione?

"Col passare del tempo, con l’aumentare la velocità, abbiamo perso i dettagli, l’umanità delle cose. La ferrovia non è solo un vagone che viaggia, degli ingranaggi che ruotano, sono gli essere umani che li fanno andare. Abbiamo perso un po’ quella concezione di mettere nelle cose l’uomo, e non le machine, al centro".

Teatro documentario: la storia può essere tanto avvincente quanto noiosa come avete trovato l’equilibrio?

"Assolutamente non è uno spettacolo noioso, anzi, facciamo di tutto: si canta, si balla, c’è un muto, c’è recitazione comica… noi lo definiamo molto spesso una commedia brillante con toni da melodramma nazionalpopolare. È una sorta di teatro totale. Non è una lezione di storia ma raccontiamo l’emotività che questa comporta. Al centro ci sono gli esseri umani e non gli eventi storici. Questi ultimi servono a raccontare che cos’è la ferrovia per Bellinzona". 

C’è qualcosa durante la raccolta delle testimonianze che ti ha emozionato in particolar modo?

"Sono moltissime. Mi ha emozionato da una parte una dinamica: quando si scopre un qualcosa, un fatto, un evento attorno ad esso si comincia a costruire tutto un mondo fatto di punti di vista. Più ne raccogli e più ti rendi conto che quella verità che stai vedendo tu, non l’ha nessuno, perché ognuno è teso a guardare le cose con i suoi occhi, dalla sua prospettiva. Questa dinamica è uscita un po’ per tutte le storie che abbiamo trovato. Poi mi ha colpito qualcosa di molto personale: vengo da una famiglia dove molti sono ferrovieri, scoprire alcune storie è stato come incontrare mio nonno, il mio bisnonno o i miei fratelli, mio padre addirittura. Insomma ho riscoperto la mia personale identità facendomi raccontare storie. Mi è rimasta impressa molto forte l’immagine di queste biciclette che partivano molto presto la mattina dalle parti di Bellinzona per andare a lavorare alle officine. E paese dopo paese il gruppo si allargava come una sorta di gara ciclistica al contrario. La ferrovia è questo, persone dopo persone che si aggiungono per andare a lavorare. In quelle biciclettate mi immaginavo chissà quali discussioni…"

Ha cambiato il tuo modo di vedere la stazione e i treni?

"Monica, al contrario di me, non ha mai avuto un gran rapporto con i treni, io nemmeno ho la patente per cui l’ho sempre usato. Alla fine abbiamo concordato che è davvero un bel mezzo per muoversi e forse uno dei migliori posti di socializzazione il cui potenziale andrebbe più sfruttato".

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