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LUGANOLa colpa esce dal carcere per salire sul palco del Foce

05.12.14 - 06:07
Prima assoluta questa sera allo studio Foce di “La Colpa”, terza tappa del progetto teatrale sulla fallibilità dell’animo umano della Markus Zohner Arts Company
Tipress
La colpa esce dal carcere per salire sul palco del Foce
Prima assoluta questa sera allo studio Foce di “La Colpa”, terza tappa del progetto teatrale sulla fallibilità dell’animo umano della Markus Zohner Arts Company

LUGANO - All’inizio c’era una prigione e la voglia di indagare la natura umana. "Abbiamo cominciato con il progetto Radio Scatenata fatta con i detenuti della Stampa – spiega Markus Zohner – Abbiamo lavorato sul libro “Alla ricerca del tempo perduto” e dal materiale audio raccolto è nato lo spettacolo “Proust in Prison” andato in scena l’anno scorso".

Oggi la riflessione della compagnia  fa un ulteriore passo avanti, mettendo in scena la colpa in tutte le sue sfaccettature. Liberato dalle sbarre, il concetto e il sentimento a esso legato assumono infatti sfumature diverse nella società: "Non solo si è colpevoli quando si ammazza qualcuno o si ruba – continua Markus – si è colpevoli anche quando si pensa di fare del male a una persona o si tradisce". Siete giunti a delle conclusioni? In sé no. Abbiamo visto e scoperto molte cose. Una di queste è che la colpa, in verità, è uno strumento di potere; questo per me è uno dei punti cruciali. Non diciamo che sia giusto o sbagliato, osserviamo il fenomeno nelle relazioni, nello Stato, nell’uomo”.

Cosa vi ha spinti a imbarcarvi in un progetto di questa portata: lavorare in un carcere, indagare l’animo umano, riflettere sulla colpa?

"È un lavoro che si inserisce in un contesto ancora più ampio, un progetto culturale triennale che si chiama C.U.T! Il taglio. Abbiamo preso in considerazione le domande del taglio: i detenuti sono tagliati  fuori dalla società. Abbiamo voluto vedere come è la loro riflessione sulle grandi domande della vita essendo tagliati fuori. C’è una grande differenza. Hanno tanto tempo per pensare, certo, ma hanno delle colpe reali da espiare. Volevamo scoprire cosa succede nell’animo umano. Dentro o fuori dal carcere ognuno ha un suo modo di porsi nei confronti di quello che ha fatto, ma al centro c’è sempre una fenomenologia della colpa che ci viene imposta o che ci diamo noi stessi. Più ci siamo addentrati più la questione si è ramificata, non si finisce più di indagare e scoprire". 

Lavorare con i detenuti ha cambiato il tuo modo di vedere il mondo?

"Assolutamente. Avevo già fatto un lavoro simile sette anni fa in Kosovo, con attori kosovari sul tema della colpa e della possibilità di perdonare; era uno spettacolo pieno di sangue e molto brutale. Ora aggiungo l’esperienza con i detenuti della Stampa e posso dire che qualcosa mi è cambiato dentro:  ho scoperto l’importanza di guardare le cose. Uno degli aspetti che più mi ha toccato, è che loro avendo il tempo e il dovere di riflettere lo fanno. In un certo senso parlare della paura della morte e della libertà con un detenuto è più interessante che con una persona comune. Hanno un’altra forza, un’altra necessità. Chi ha una colpa forte, deve trovare il modo di espiarla o di portarla convivendo con essa tutta la vita. Noi ci arrangiamo, ci giustifichiamo, ma se sei incastrato come in carcere non ti puoi arrangiare, le domande allora diventano vitali, il loro significato e il loro peso aumenta tantissimo".

Cosa aspettarci dallo spettacolo?

"Qualcosa di intimo e forte”, assicura Markus, ma non la catarsi, piuttosto un’occasione per vedere con altri occhi il mondo e la vita: "Lo scopo dichiarato – conclude Markus – è parlarne il più possibile. Solo così si dà respiro alla riflessione, si aprono domande e percorsi. È come piantare un seme che chi vorrà cogliere coglierà".

Repliche domani e domenica.

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