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LOCARNOCon il fuoco negli occhi e nel cuore

06.08.17 - 12:00
“Filles du feu”, quando le donne imbracciano il fucile (Locarno Festival, Palacinema, lunedì 7 agosto ore 11.30). Una prima mondiale fuori concorso
Con il fuoco negli occhi e nel cuore
“Filles du feu”, quando le donne imbracciano il fucile (Locarno Festival, Palacinema, lunedì 7 agosto ore 11.30). Una prima mondiale fuori concorso

 LOCARNO - Il fuoco della rabbia, della vita, del coraggio. Il fuoco accesso dell’energia, della determinazione, che prevale sulla stanchezza, sulle paure, sulle incertezze. Un fuoco che arde per una causa, quella della resistenza allo Stato islamico, all’esercito turco e alle truppe del regime siriano.

“Filles du feu”, del regista ed etnologo francese Stéphane Breton, è un documentario di ottanta minuti che toglie il fiato, t’inchioda alla poltrona, ti lascia letteralmente senza fiato. Breton, che ha trascorso sette mesi in compagnia delle guerrigliere curde, ha raccontato la guerra senza mai mostrarla chiaramente. E l’evocazione di questa guerra, attraverso i gesti della quotidianità e della complicità femminile, ha un impatto intenso e penetrante.

Nel documentario un piccolo gruppo di donne cammina in un paesaggio ampio, aperto, brullo, asciutto. Sposta frammenti di un cadavere scovato da un cane; lo copre con pietre pesanti. Capita anche di raccogliere fiori, di lasciare volare lo sguardo, di condividere sorrisi, rari momenti di armonia in un paesaggio che a tratti sembra sospeso tra terra e cielo.

Vediamo queste donne in assetto da combattimento, le seguiamo attraverso lo sguardo di Breton che ha girato la pellicola in modo tale da trasmettere sia le sensazioni grezze e aspre della vita in un campo di battaglia, sia la forza di queste donne coraggiose che si muovono, decise e sicure, nei paesaggi della guerra, nel Kurdistan siriano, sulle alture del Rojava.

Qui le donne combattono a fianco degli uomini, mettendo in campo i loro talenti tattici e organizzativi e una straordinaria solidarietà umana. Sono donne che hanno deciso di sacrificare le loro vite per un bene superiore: la libertà dall’oppressione. Sono donne impavide, confrontate quotidianamente con la morte, la violenza. Ma anche con la vita di tutti i giorni, in mezzo al nulla, tra terra e cielo.

La bravura di Stéphane Breton sta proprio qui: il racconto della vita, delle vite di queste donne in terre insanguinate, in cui l’orrore viene solo evocato. In cui si sta svegli sempre, anche durante il riposo. La fame, il freddo, la paura, ogni singolo rumore è un segnale, un indizio, un richiamo che va interpretato.

Una lunga sequenza mostra due guerrigliere che camminano mentre sono seguite da cani che cominciano a latrare sempre più forte, sempre più insistenti. Loro vanno avanti, le mani strette all’asta della mitraglietta. Vanno avanti, guardano dritto. Guardano oltre. Si tratta di sopravvivere. Con ogni mezzo e in mezzo al sangue che non si vede. Straziante.

Come straziante è il ricordo per una canzone curda negata a una combattente, poi uccisa. Aveva chiesto che venisse cantata prima della partenza. E ora quelle note che non si sono mai levate al cielo, pesano. Con questo e tanti altri pesi nel cuore, le guerrigliere curde vanno avanti, eroiche, ormai leggendarie, senza pensare a una giovinezza sfiorita troppo velocemente. Camminano a testa alta nelle polveri della guerra. Impossibile non ammirare il loro coraggio. Immenso.

Anche quando invitano tutti a non recuperare o a strumentalizzare la loro lunga e complessa storia di resistenza. Le donne curde del Rojava si sono mobilitate con le donne arabe, turcomanne, assire e alevite per lavorare a soluzioni politiche e sociali collettive per la propria emancipazione. Queste donne sono la forza motrice della rivoluzione e le architette di un sistema democratico scevro da influenze patriarcali. Una rivoluzione nella rivoluzione.

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