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STATI UNITIAddio a Arthur Hiller, il papà di "Love Story"

18.08.16 - 07:14
Il regista, tra i più amati di Hollywood, aveva 92 anni
Addio a Arthur Hiller, il papà di "Love Story"
Il regista, tra i più amati di Hollywood, aveva 92 anni

NEW YORK - Ci volle una canadese a Hollywood per far piangere il mondo intero all'inizio degli anni Settanta, riscrivendo l'eterno copione dei sentimenti e dell'amore col passo di una nuova generazione. Oggi tutti ricordano Arthur Hiller, l'autore di "Love Story", morto all'età di 92 anni.

Fu trionfatore al botteghino e candidato a sette Oscar (ma il regista restò a mani vuote) per quell'exploit che certamente ne marchiò l'intera carriera, ma nel momento del commiato è giusto rendergli invece onore per un professionismo di qualità costruito, mattone su mattone, fin dagli anni '50.

Nato a Edmonton in Canada il 22 novembre del 1923, fu tra i coraggiosi dell'aviazione del sui paese che combatterono nei cieli europei durante la seconda guerra mondiale. Congedato con onore, ottenne una laurea in psicologia e in arti drammatiche che rimasero però nel cassetto, mentre otteneva il primo contratto alla radio nazionale.

Fu lì che lo colse l'annuncio dell'indipendenza di Israele e Hiller, d'origine ebreo-polacca, cercò inutilmente di partire volontario nella prima guerra araba, volendo difendere il giovane stato ebraico. Rifiutato sia in Canada e che negli Stati Uniti perché sposato, il futuro regista si buttò a capofitto nel lavoro, firmando il suo primo contratto con la rete televisiva NBC che realizzava a Toronto molte delle sue produzioni.

Lavorò in serie di successo come "Alfred Hitchcock presenta", "Gunsmoke", "Playhouse" fino ad ottenere una regia cinematografica ("The careless years" del 1957) e poi una chiamata dalla Disney nel 1963 con la commedia per famiglie "Letti separati" del 1963.

Il buon risultato del film gli aprì le porte di Hollwyood: in tutto avrebbe diretto 33 lungometraggi, nessuno dei quali raggiunse mai però il risultato sorprendente di "Love Story" del 1970. Parte del merito va senz'altro all'infallibile best seller di Erich Segal che la Paramount aveva messo sotto contratto per l'adattamento del romanzo; ma determinante fu la capacità di Hiller di trasformare due giovani talenti (i quasi debuttanti Ryan ÒNeal e Ali McGraw) in icone del loro tempo e autentiche star.

Sulle note della premiata colonna sonora di Francis Lai, l'amore assoluto e senza speranza dei due giovani, divisi per condizione sociale e origini familiari, divenne un simbolo della nuova America, come pochi anni prima era accaduto al debuttante Dustin Hoffman con "Il laureato".

La critica non riconobbe a Hiller e al suo film grandi meriti, ma non è un caso che "Love Story" figuri ancor oggi tra i 10 film romantici più grandi di sempre e che resti come testimonianza di una trasformazione della società americana che contagiò l'intera Europa. Tra gli aneddoti del film spicca il fatto che Erich Segal si fosse ispirato al suo compagno d'università Al Gore per disegnare il conflitto generazionale tra il suo protagonista Oliver Barrett IV e il suo ricco genitore.

Dopo l'exploit del 1970 Hiller ebbe a lungo mano libera per scegliersi le migliori sceneggiature e fu sempre premiato dalla fiducia che in lui riposero i grandi divi del decennio, dal prediletto James Garner a Warren Beatty, da Alan Arkin a George Peppard, da Leslie Caron a Nathalie Wood, da Dustin Hoffman a Al Pacino, fino alla coppia James Pryor/Gene Wilder che portò al successo con "Wagon-lit con omicidi" del '76.

La sua prova più ambiziosa resta invece lo sfortunato "L'uomo della Mancha" del '72 con Peter O'Toole e Sophia Loren: una volta di più però la maledizione di Cervantes (nessun regista ebbe mai fortuna con "Doc Chisciotte", da Orson Welles a Terry Gilliam) condannò questo colorato e divertente musical al marchio del fallimento.

Arthur Hiller ha continuato una decorosa carriera da regista fino al decennio scorso ("Puckets" è del 2006), ma dall'inizio degli anni '90 si era soprattutto impegnato per la difesa della categoria degli autori come presidente della Director's Guild of America e poi dell'Accademia che assegna gli Oscar.

Il "Lelouch d'America" (come una volta fu soprannominato) se ne va senza clamore, ma un pizzico di sentimento da lui ispirato resterà ancora a lungo nel cuore di intere generazioni di innamorati.

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