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LOCARNO - PARDO 2016C’era una volta un lago salato

09.08.16 - 14:03
Il prosciugamento del lago di Aral è una delle peggiori catastrofi ambientali mai causate dall’uomo. A Locarno la settimana della critica accende i riflettori
C’era una volta un lago salato
Il prosciugamento del lago di Aral è una delle peggiori catastrofi ambientali mai causate dall’uomo. A Locarno la settimana della critica accende i riflettori

LOCARNO - “Sea Tomorrow” (il mare di domani) della regista kazaka Katerina Suvorova, è una denuncia ambientalista senza veli. Ma è anche un inno alla resistenza, quella di un popolo. Il popolo di Aral che non ha più niente: non ha più acqua, non ha più i frutti della propria terra, non ha più pesce da pescare, non ha più barche, non ha più lavoro. Eppure, come scritto sulla locandina del film, la gente del luogo dice: “Ogni 50 anni si rinnova una generazione, ogni 100 anni si rinnova il terreno. Il mare se ne è andato. Ma forse un giorno tornerà”.

Situato al confine tra il Kazakistan e l’Uzbekistan, il lago salato di Aral (di origine oceanica) è stato per millenni uno dei più grandi mari interni del pianeta. Per migliaia di anni è stato alimentato da due grandi fiumi, l’Amu Darya e il Syr Darya. Non avendo sbocco al mare, la stabilità del livello dell’acqua era garantita da un naturale equilibrio tra afflusso ed evaporazione.

Fino al 1960 il lago di Aral era il quarto più grande al mondo: la sua dimensione copriva quasi due volte quella dell’intera Svizzera. Oggi, in seguito a sciagurate decisioni di politica economica, è un paesaggio marziano, brullo, arido, inquinato da polveri tossiche. Uno scenario post apocalittico, una distesa ostile di sale dove giacciono gli scheletri arrugginiti delle navi, come balene spiaggiate testimoni di un florido passato che non c’è più. Emblemi silenziosi ed eloquenti di distruzione e funesti presagi.

Eppure il popolo di Aaral resiste. Operai che cercano di recuperare del materiale dalle navi, persino di riportare agli antichi splendori quelle barche dal colore blu acceso che si stagliano nel cielo. Di un blu intenso che contrasta con il grigiore della polvere e che esprime un inno alla vita.

Un vecchio giardiniere solitario che si ostina, tenace, a piantare alberi nel suolo salino, sfruttando ogni possibile fazzoletto di terra. E che con orgoglio gusta i suoi meloni, frutto più di un atto di volontà che non della terra. Una biologa che giornalmente analizza prelievi di fango e acqua. Due giovanotti che cercano lavoro in città. Improbabili pirati scavati in volto che vivono in un relitto. Sono tutti i protagonisti del film di Suvorova. Uomini, donne, giovani e anziani condannati a sopravvivere. E a sperare.

Perché “Sea Tomorrow” non è solo la denuncia di una catastrofe ambientale, è in qualche modo lo specchio dei sogni e delle speranze dei tenaci abitanti delle rive di un bacino fantasma, popolato dai ricordi di un passato prospero. Ma soprattutto da un’umanità a cui è stato strappato tutto e che oggi cerca nuove possibilità. Che oggi combatte per dare alla loro terra un futuro diverso.

Nel girare il film, la regista Katerina Suvorova ha scoperto una realtà che conosceva perlopiù attraverso i media. Una realtà che ha saputo portare sullo schermo con grande sensibilità ed efficacia. Particolari, dettagli, ritagli di vita quotidiana, minimi segnali di vita – come i germogli di una piantina che prova a crescere - si inanellano attraverso sequenze molto belle. Immagini di grande nitore e portatrici di una generosa energia vitale. Malgrado tutto.

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