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LOCARNOLa musica come atto di ribellione

08.08.16 - 10:49
In “Raving Iran” due Dj Arash e Anoosh sfidano la censura per seguire la loro passione. Fino all’esilio in Svizzera, dopo la fatidica Street Parade
La musica come atto di ribellione
In “Raving Iran” due Dj Arash e Anoosh sfidano la censura per seguire la loro passione. Fino all’esilio in Svizzera, dopo la fatidica Street Parade

LOCARNO - Cominciamo dalla fine di una domenica di mezza estate al Festival del film: i due protagonisti di “Raving Iran” – in arte Blade&Beard - animano la notte in Rotonda con un loro Dj Set, proponendo la loro musica: una “Deep House” che esprime il loro destino con il linguaggio universale della musica. Senza mediazione. Con quelle ritmiche, incessanti, penetranti vibrazioni che attraversano anima e corpo.

Qualche ora prima li abbiamo visti al Fevi, per la proiezione del primo lungometraggio di Susanne Regina Meures nella sezione “Panorama suisse”. Maglietta nera per il robusto Anoosh, maglietta bianca per l’esile Arash, con i lunghi capelli neri raccolti. Dal palco del Fevi la regista spiega di aver girato il documentario in condizioni a tratti difficili, usando per motivi di sicurezza un Iphone (con cui ha girato quasi metà del film) e oscurando i volti di alcune persone.

Continuiamo dall’inizio: Anoosh e Arash sono artisti iraniani, nati a Teheran nel 1990 e nel 1987. Per un lungo periodo ascoltano molti stili musicali, compresa la musica elettronica. Un giorno ricevono un CD di Sasha&John Digweed che un loro amico ha portato dagli Stati Uniti: è una sorta di folgorazione che induce i due protagonisti a iniziare un viaggio esplorativo nell’universo della musica elettronica.

Si spengono le luci e si parte. Si entra immediatamente nel film. In un film quasi ipnotico, in cui le riprese si susseguono senza indugiare, sorrette da una musica che scandisce lo scorrere della vita. Veloce, da vivere a piene mani, da mordere, quasi nel voler afferrare ad ogni costo quella libertà e non lasciarla più. Quella libertà che viene soffocata dalla censura. Una censura che rallenta tutto, spegne il cuore, i sogni.

La regista filma la gioventù da vicino, quasi sfidando l’intimità, quasi a volerne svelare i segreti più profondi. Le scene sono secche, a tratti grezze, ma estremamente efficaci. Rendono l’idea dell’urgenza, della paura, del rigido controllo sociale in una società, quella iraniana, che non lascia ormai più spazio ai sogni e ai desideri.

La regista presenta molto bene i due mondi: l’effervescenza di una musica liberatoria e clandestina – il solo momento in cui Anoosh e Arash riescono a vivere liberamente la loro gioventù – la pesantezza della censura che rallenta tutto. Una censura che costringe Anoosh ad andare di ufficio in ufficio per chiedere il permesso di stampare un CD dalla copertina che per le autorità è semplicemente dissacrante, trasgressiva. Vietata!

Eppure la passione travalica la paura. E si trasforma in sfide continue, in rischi e perfino nell’arresto di Anoosh. Organizzare un rave a Teheran è un percorso del combattente: tutto deve rimanere rigorosamente segreto e il minimo passo falso può essere fatale. Ma il bisogno di libertà è come un fiume in piena: non cessa di crescere. La ricerca di spazi di espressione liberi e autentici, la voglia di energia vitale dei due protagonisti, si mescola in modo magistrale alla ricerca di una sorta di estasi collettiva attraverso i rave party clandestini, a cui partecipano molti giovani. Susanne Regina Meures riesce a esprimere e a portare sullo schermo questo mondo sospeso tra illusione e realtà, attraverso una serie di immagini ipnotiche di corpi sinuosi che si abbandonano totalmente alla musica, come in un atto profondamente liberatorio.

Poi la svolta, un invito ufficiale dalla Street Parade di Zurigo e il volo – che sarà senza ritorno - in Svizzera. Spinti dall’euforia Anoosh e Arash decidono di lasciare il paese, ma nulla li ha preparati a ciò che li aspetta: uno sradicamento culturale e familiare profondamente doloroso. Se Anoosh appare più determinato, nella sua stanza di albergo a Zurigo Arash tenta invano di chiamare Teheran, di cui sente la mancanza. E quando finalmente riesce a comunicare, si sente la voce della madre che gli dice di assumere la sua scelta fino in fondo e di non tornare più indietro.

Al termine dei cinque giorni di permesso concesso dalle autorità iraniane, Arash e Anoosh decidono di rimanere in Svizzera (e qui termina il documentario), dove chiedono asilo politico. Nel piccolo paese grigionese di Cazis, in mezzo alla tranquillità delle montagne, così lontana dagli psichedelici rave party, Blade&Beard aspettano. Aspettano per due anni. Proprio pochi mesi fa hanno ricevuto lo statuto di rifugiati e il permesso di soggiorno.

Inequivocabile il loro messaggio: «L’unica ragione che ci ha spinti a rimanere e superare le difficoltà, è stato il sogno di poter suonare, in Europa, come Dj liberi - attività impossibile in Iran. Crediamo che solo la musica possa lavare la polvere della vita di ogni giorno dall’anima».

 

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