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CANTONE«Vi racconto il mio Quentin Tarantino»

08.04.16 - 06:00
Attore in Kill Bill volume 1, il maestro Tetsuro Shimaguchi è ospite d'onore del Japan matsuri. «La Svizzera? Così bella, silenziosa, comoda da vivere»
«Vi racconto il mio Quentin Tarantino»
Attore in Kill Bill volume 1, il maestro Tetsuro Shimaguchi è ospite d'onore del Japan matsuri. «La Svizzera? Così bella, silenziosa, comoda da vivere»

BELLINZONA - I più attenti ne riconosceranno il volto: finito sul grande schermo in Kill Bill volume 1, di cui ha curato anche le coreografie nelle scene di combattimento con la spada. Domani sera, ore 20.30, il maestro Tetsuro Shimaguchi sarà all'Espocentro con i "Samurai Sword Artists – Kengishū Kamui", protagonisti di uno spettacolo di arti marziali. Per lui non è la prima volta in Svizzera: ma è la prima in Ticino. «A Berna sono rimasto impressionato da come la Svizzera sia bella, silenziosa e comoda da vivere», racconta. «Non sono mai stato altrove, ma mi piacerebbe conosce meglio la cultura elvetica - confessa - Soprattutto natura e cucina!».

Maestro, a Hollywood invece come ci è finito?

«Ero a Los Angeles per una street performance, nel 1998. Quentin stava camminando con la sua ragazza di allora. Ci vide e gridò a gran voce: “Samurai!”». 

Come è stato lavorare con lui?

«Mi sono divertito tutti i giorni. L’ambiente era stimolante, senza stress. Quentin ha un cuore innocente, è un uomo con l’anima di un bambino. Ho bellissimi ricordi». 

Ce ne racconta qualcuno?

«Gridava sempre “We love movie!”, anche durante le riprese. Quentin e Uma curavano molto sia gli attori sia i membri dello staff. Amano il loro lavoro con tutto il loro cuore: si sente».

Lavorerà ancora per il cinema? 

«Ho ricevuto un’offerta come attore e coreografo in una produzione inglese. In futuro sarò anche regista di un film franco-giapponese». 

Le è piaciuto, dunque...

«Sono un Samurai artist, non faccio parte di quel mondo: ma quando succede, mi piace».

Ma era davvero questo che voleva fare da grande?

«Volevo diventare un atleta o un insegnante. Diventare un Samurai artist è stato un processo naturale». 

Come c'è arrivato?

«Ero all’università, mi capitò di assistere a una "Samurai action", una performance di Samurai. Da quel momento ho cominciato a tentare di unire l’arte teatrale giapponese, come il Kabuki e il Nihon-buyō, che è una danza tradizionale, alle arti marziali come ad esempio il karate: in modo da mantenere l’espressione artistica originale, senza dialogo. Nasce così il "Kengi-dō". L’ho ideato perché è uno stile diverso da quelli creati in precedenza in Giappone».

La chiamiamo "arte" marziale: ma è davvero un’arte?

«È chiamata "arte" perché i praticanti si scambiano i loro "cuori" e sublimano se stessi come in un’opera d’arte, appunto: dando importanza alle emozioni, tecniche e fisiche. Proprio come i samurai».

Ed è davvero "teatro"?

«L’arte teatrale è una "performing art", quindi sì, anche l’arte marziale può essere considerata "teatro".

E la "violenza"? Dove la mettiamo?

«La spada è un'arma, quindi la gente può considerarla uno strumento di "violenza". Ma lo stile che ho inventato è una "via", lungo la quale il praticante rispetta gli altri».

Che cos'è la spada, per lei?

«Per me significa "spirito"».

Nessun equivoco da parte altrui? Nessuna distorsione, specie in Occidente?

«È possibile. Probabilmente neanche i giapponesi di oggi conoscono bene il suo significato». 

 Oggi il Giappone e le arti marziali interessano sempre di più l'Occidente. Perché?

«Perché la gente ha capito che, nell’arte marziale, è importante il “cuore”. Ed è questo che conta anche nella vita».

 

 

 

 

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