Un fenomeno in America, ma seri riscontri si hanno anche in Svizzera: fra chi le accumula e chi le lascia figurare come godute, presentandosi lo stesso in ufficio
LUGANO - Troppo attaccati al lavoro, sensibili al risultato, dipendenti dal senso del dovere: al punto da non riuscire a interrompere il flusso. Così circa la metà degli americani si lascia indietro giorni di ferie non godute, con conseguenze negative per i consumi: meno cene al ristorante, notti in hotel, viaggi, per una mancata spesa di 223 miliardi di dollari.
Lo smartphone certo non aiuta - Colpa di internet, degli smartphone e delle tecnologie che legano sempre di più alla professione. «La connessione ventiquattr'ore su ventiquattro ci fa sentire così integrati e indispensabili da rendere più difficile staccare», riflette Katie Denis, direttore del progetto Time Off, che ha commissionato una ricerca in grado di far rabbrividire oggi l'America. Vittima di se stessa, se è vero che lo scorso anno sono stati sfruttati in media solo 16,2 giorni di vacanza a fronte dei 20,3 del 2000, per un complessivo di 658 milioni di giorni rimasti inutilizzati. Senza parlare poi di chi riconosce di lavorare oltre le 35 ore canoniche settimanali senza chiedere di essere retribuito: bruciando così circa 1,6 milioni di posti di lavoro.
Oggetto di contesa con l'azienda - Attenti, però: non che qui ci sia molto da stare allegri. I numeri, forse, non saranno così importanti: ma solo in proporzione e perché siamo soltanto all'inizio. Non è forse regola che l'America faccia spesso da apripista ai fenomeni a venire? Ebbene: le avvisaglie già ci sono tutte, e anche qualcosa di più. Sempre più ticinesi rinunciano in silenzio a giorni di ferie: che poi diventano magari oggetto di contenzioso, al termine di un rapporto di lavoro, oppure scompaiono figurando come godute, anche se ci si è regolarmente presentati alla scrivania.
Disoccupazione, concorrenza: «Troppe pressioni» - Capita di rendersene conto d'improvviso, negli uffici legali dei sindacati: alle prese con arretrati e situazioni da sanare. «Parlare di tendenza mi viene difficile – riflette Alberto Trevisan, Ocst – Ma certo l'andamento si vede. La pressione c'è: il riscontro si ha di norma alla conclusione del rapporto». Impiegati, di livello medio-alto: stacanovisti più per paura che per scelta. «Gli obiettivi sono sempre piu alti, i ritmi sempre più veloci: in Ticino è una realtà, frutto di pressioni sempre più forti», osserva Giangiorgio Gargantini, responsabile del settore terziario per Unia. «La disoccupazione e la concorrenza mettono ansia e spronano ad accettare. In principio è qualcosa di obbligato, poi diventa quasi volontario: ma fino a che punto?».
«Nessuno lo saprebbe fare come me» - Difficile fare stime, specie in un ambito dove misurare il tempo è quanto meno complicato. Ma «si lavora la sera, oppure in vacanza: con la scusa che quello che non si fa prima lo si ritroverà comunque da sbrigare al rientro». Qui, come oltreoceano, la giustificazione è la medesima: prendere una pausa comporta montagne di lavoro al ritorno. E «nessuno lo saprebbe fare come me». Morale: quello che «fino a quattro o cinque anni fa era un'eccezione, oggi è quasi costume. Si è ufficialmente in ferie, ma si va in ufficio lo stesso. Senza rivendicare nulla - conclude Gargantini - Sarebbe come ammettere di non essere stati all'altezza».