Cerca e trova immobili

CANTONELe stalle si aprono, ma il latte sta scomparendo

17.04.15 - 08:08
L’appello di sei allevatori che aderiscono all’iniziativa “Visita alle stalle”, giunta per la prima volta in Ticino: “Non abbiate remore o disgusto: venite a trovarci”
Foto Azienda Agricola la Fattoria Bio
Le stalle si aprono, ma il latte sta scomparendo
L’appello di sei allevatori che aderiscono all’iniziativa “Visita alle stalle”, giunta per la prima volta in Ticino: “Non abbiate remore o disgusto: venite a trovarci”

LUGANO - Se le stalle del Ticino si aprono e all’interno le mucche da mungere sono minoranza, eccezione anzi, non è un’anomalia dovuta al caso; o peculiarità autoctona che trova spiegazione nella tradizione invece che ragione nell’attualità. Sabato, “giornata del latte” per la Svizzera, s’inaugura anche in un Ticino finora latitante la “Visita delle stalle”, iniziativa che nel resto del Paese ha già compiuto dieci anni e qui è sempre stata un po’ sdegnata. Sei appena, su venti che si desideravano, le aziende che da domani e nel futuro apriranno le porte ai visitatori, con la voglia di mostrarsi e affezionare: ma del latte crudo nei secchi che la gente va a guardare in Svizzera tedesca, gustoso al palato ma ormai sempre meno appetibile come fonte di guadagno, resta ormai ben poco.

Roberto Aerni: "Entrate senza domandare" - Nei capannoni che separano il resto del mondo dall’agricoltura e dall’allevamento, è la carne a farla da padrona: macellata e rivenduta con maggior profitto, al posto del latte che si usa piuttosto per l’ingrasso dei vitelli. L’esempio, in fondo, vien dall’alto: Roberto Aerni, presidente dell’Unione contadini ticinesi, a Gordola si dedica alle vacche nutrici: obiettivo cento parti l’anno, per 32 tonnellate di prodotto macellato che finisce fra i “Nostrani del Ticino” della Migros. "Ho scelto di aderire perché aprirsi è importante. Finora il Ticino si è sempre dimostrato pigro: l’impegno, del resto, non è indifferente. Ma se non si aiuta la produzione, se non si dà valore al nostro lavoro, finiremo per restare solo dei bravi giardinieri. Nella mia azienda da sempre si può entrare senza neanche chiedere. La gente arriva, fa domande, io rispondo: nessun fastidio. Se qualcuno d’ora in poi vorrà essere accompagnato in una visita guidata, sono pronto". Sessantuno anni, due figli di 4 e 2, ripete: "Io in pensione andrò non prima di aver compiuto gli 80 anni. Certo, per noi il franco che si rafforza è un handicap".

Il secondo lavoro di Stefano e Luana: pecore e mucche - Niente latte neppure a Ludiano, dove mucche e pecore sono anzitutto una passione. Dice Stefano Antonioli, 45 anni come la compagna, che per Luana Poggiali-Urietti era da sempre un «sogno nel cassetto»: realizzato infine per merito o difetto di uno zio. "Quattro anni fa gli siamo subentrati nella direzione dell’azienda": 51 pecore, 9 vacche nutrici, di cui occuparsi ogni mattino e sera prima e dopo il lavoro ufficiale. Lui è ancora attivo nel campo della prevenzione infortuni e insegna meccanica a Mezzana; lei è infermiera al centro diurno di Biasca. "Farne la nostra attività principale? Non credo, per noi questa è la dimensione giusta". Anche se significa sacrificare tutto il proprio tempo libero. "Che cos’è?", domandano e ridono. "Apriamo la stalla perché mostrare alla popolazione quello che facciamo può far solo bene. A volte ci sentiamo un po’ incompresi. Non che prima non capitasse già: la gente veniva spesso, specie nel periodo della nascita degli agnelli. Che poi vengono venduti per lo più al mercato svizzero francese, mentre i vitelli vanno ai privati. Avevamo già pensato di organizzare da soli una giornata a porte aperte. È arrivata l’occasione. Per noi è dare un segno che ci siamo".

Colonia estiva da Nives e Dante - Nives e Dante Giussani, da Chiggiogna, non hanno atteso che fossero altri a proporlo. Da quando hanno rilevato l’azienda di famiglia, nel 2011, hanno riaperto la scuola di equitazione, che oggi ha 28 allievi e la scorsa domenica ha consegnato il brevetto sport equestri a 13 ragazzi. Hanno organizzato la “giornata del cavallo”, prossima data il 9 maggio; si sono inventati la “scuola in fattoria”, dove i bambini dall’ultimo anno di asilo alla quinta elementare arrivano e "si meravigliano che i maiali non nascano già grandi. Davanti al latte crudo all’inizio dicono di no: “Noi beviamo il latte nel cartone”: nemmeno sanno che arriva dalle mucche, o la salsiccia dai maiali". Trentatré anni lei, 36 lui, un bimbo di quattro e una femmina di 7 mesi, hanno una quarantina di scrofe con almeno 150 maialini, 20 cavalli nella scuderia e, accanto, le mucche «di mio cognato – spiega Nives – Fino a due tre anni fa produceva latte. Poi è passato all’ingrasso: non rendeva più. Chi vuole può visitare anche la sua stalla». La scorsa estate hanno perfino organizzato la colonia per ragazzi da 6 a 15 anni: due gruppi da dodici nell’arco di due settimane. "La richiesta era maggiore, ma di più non saremmo riusciti. È bello, ma confesso: è estenuante". Per Nives ogni occasione è da prendere senza pensarci su: "Ci si lamenta tanto che l’agricoltura non va: e come potrebbe, se non ci si mette un po’ di inventiva. È uno stimolo anche per noi".

Latte ticinese in calo - Poi ci sono Paolo Rodoni di Biasca; Rosa, Ulrico, Adrian e Tom Feitnecht di Contone, Masseria Ramello; Nicoletta Zanetti di Semione con le sue capre, i polli e i maiali: ma di mucche da mungere che tanto piacciono oltre Gottardo, poche. Durante il 2014, la produzione locale ha registrato un calo di 1,03 % rispetto al 2013, tendenza in contrasto rispetto al resto della Svizzera (+ 3.3%). "Malgrado la produzione controllata, grazie alla quale non hanno creato eccedenze, i produttori ticinesi hanno comunque subito una pressione sui prezzi come nel resto del mercato svizzero, dove l’offerta è aumentata e la domanda è rimasta stabile", spiega Alessandro Corti, responsabile della Federazione ticinese produttori latte. Davanti a ciò, la voglia di passare a qualcosa di più remunerativo cresce. "Il rischio c’è. Se gli allevatori che producono latte non guadagnano abbastanza, è normale preferiscano usare il latte per ingrassare i vitelli e vendere poi la carne: d’inverno soprattutto, quando c’è il picco di produzione ma meno opportunità di vendere il formaggio, meno gradito sulle tavole. Può essere una “correzione” temporanea oppure un cambio di strategia aziendale".

Il 22% abbandona il latte per la carne - Dal 2007 a questa parte 45 aziende agricole, il 22%, l’hanno fatto: convertendo la produzione di latte verso tipologie economicamente più attrattive. "Le aziende svizzere – continua Corti - hanno subito un calo del 16,2% dell’effettivo durante l’ultimo decennio, mentre in Ticino il calo è del 8,2%. Situazione analoga per la superficie agricola complessiva, sia svizzera come ticinese".

Ci mancava il franco forte - Ci si mette infine il franco forte. Per ora gli effetti non si sono sentiti in maniera drammatica, ma certo i segnali cominciano a delinearsi. "Le esportazioni di formaggio sono rallentate – dice il presidente Ftpl Nello Croce - Le importazioni di formaggi, per contro, sono aumentate del 3,15 % durante il 2014. Del resto, come competere con una Germania che ci offre il suo prodotto a 5,60 euro? Da noi un formaggio tipico non si esporta a meno di 8,50 franchi". "È vero che fortunatamente non tutti i consumatori desiderano rivolgersi al prodotto importato. Ma è anche vero anche che di recente lo stesso ha acquistato ulteriore interesse a causa del prezzo", osserva Corti. La soluzione? "Difficile da trovare. L’unica, ma tutt’altro che facile, potrebbe essere quella di differenziare la nostra piccola produzione, circa 15,5 milioni di chili l’anno se escludiamo i 4,5 prodotti in alpeggio. Purtroppo non possiamo dire di essere un’isola felice: e soprattutto non possiamo dire di essere tranquilli".

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
COMMENTI
 
NOTIZIE PIÙ LETTE