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LUGANO“Addio ai frontalieri? Sarebbe una sciagura”

27.03.15 - 06:17
La ricetta di un’economista che da mesi osserva il territorio: ecco come deve comportarsi l’economia ticinese per non soccombere. Moda, turismo, meccatronica e biotecnologie i settori più promettenti
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“Addio ai frontalieri? Sarebbe una sciagura”
La ricetta di un’economista che da mesi osserva il territorio: ecco come deve comportarsi l’economia ticinese per non soccombere. Moda, turismo, meccatronica e biotecnologie i settori più promettenti

LUGANO. Di etico, il marchio di cui il Gran Consiglio discute rischia di avere ben poco. Un’azienda attenta a occupare manodopera residente ha piuttosto ottime probabilità di farsi del male. Parola di economista: "Il Ticino è da sempre una regione di frontiera e lo stato attuale dell’economia è stato raggiunto anche grazie al frontalierato – riflette Valentina Mini, ricercatrice Usi e responsabile dell’Osservatorio politiche economiche – Una chiusura o una complicazione burocratica nel mercato del lavoro trasnfrontaliero avrebbe ricadute negative su molte aziende".

Parere ben ponderato nel suo aspetto provocatorio: frutto in realtà di uno studio attento dei comportamenti e delle esigenze del territorio. Dal quale emerge come preponderante e necessario un concetto che, seppur non del tutto nuovo, merita di essere approfondito in futuro. I meta-settori: cioè comparti più ampi, dove secondario e specializzazioni nei servizi coesistano e interagiscano. Ecco la via da seguire, specie nell’ambito della moda, del turismo, delle biotecnologie e della meccatronica, che hanno qualche carta in più da giocare nella realtà economica locale.

Dottoressa, di che cosa si tratta?

"Il concetto del meta-settore si riferisce all’aggregazione industriale derivante dalle sovrapposizioni e collegamenti tra i diversi settori che mirano alla produzione di un bene finale. Si tratta di osservare la produzione di un territorio non in modo tradizionale, ma in modo sistemico, attorno alla filiera. Seguendo quest’ottica, si combinano le imprese coinvolte nella produzione vera e propria del prodotto, dalle materie prime al bene finale, con le imprese di servizio, dedicate ad esempio al design, al marketing, al sostegno del business, al controllo di qualità, alla distribuzione e agli aspetti post vendita".

Il Ticino è pronto a crederci?

"Ciò che definiamo meta-settore è un’organizzazione industriale che da tempo gli imprenditori conoscono, soprattutto in determinati comparti che si trovano a competere maggiormente sulla scena internazionale. L’individuazione di quattro meta settori privilegiati in Ticino – moda, turismo, biotecnologie e meccatronica - parte dall’osservazione dei dati economici territoriali: si tratta di specializzazioni già presenti nel nostro territorio e che presentano un buon potenziale perché esistono solide basi di partenza. Non si tratta di un’interpretazione che vuole completamente reinventare il tessuto economico locale, ma di una lettura che unisce i risultati analitici in modo razionale".

Che ne sarà del resto?

"Quelli indicati sono ambiti nei quali il territorio si sta già esprimendo e nei quali ha un potenziale, sia pur talvolta solo latente. Il resto ovviamente non viene abbandonato: per molti settori vi è la possibilità di interagire in modo trasversale con tutti i meta settori. Un riferimento non casuale va fatto al settore bancario, che è e sarà di fondamentale importanza per lo sviluppo dei meta settori, ma dovrà riposizionarsi all’interno dei servizi verso le imprese. Il settore bancario ticinese così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi non esisterà più".

Eppure si fatica ad abbandonare il passato: come la soglia minima, ad esempio. Il franco forte davvero penalizzerà l’economia o porterà benefici?

"L’abbandono dell’ancoraggio alla valuta europea da parte della Banca nazionale svizzera definisce la fine di una politica di protezionismo o sussidio verso la struttura economica elvetica. Un’operazione da leggere nell’ottica di una competitività basata sull’apertura e non sulla svalutazione monetaria. Di fronte ad una bilancia commerciale e dei pagamenti con attivi più elevati a livello mondiale, tale manovra sfida, o mette le imprese nella condizione di competere attraverso la qualità dei loro prodotti, la tecnologia, la produttività e tutti quegli elementi che danno valore aggiunto ai nostri beni. A questa sfida la risposta non può essere solo di tipo congiunturale, ma deve essere strutturale".

Quale atteggiamento assumere nei confronti del frontalierato?

"Il Ticino è da sempre una regione di frontiera e lo stato attuale dell’economia è stato raggiunto anche grazie all’apertura che negli anni è stata, più o meno, supportata. Uno degli ambiti più rilevanti di quest’apertura è il mercato del lavoro. Tuttavia, nei momenti di difficoltà economica, si associano i termini disoccupazione e frontalierato. Allo stesso tempo, l’accesso a manodopera a salari bassi significa avere accesso a manodopera non specializzata che non contribuisce in modo forte all’aumento della produttività locale".

Pregiudizi o timori giustificati?

"Bisogna considerare effettivamente che all’aumentare dell’apertura può aumentare la pressione sui salari locali. Alcuni dibattiti correnti riguardano la relazione tra crescita occupazionale – complessiva: di autoctoni, di stranieri e frontalieri - e disoccupazione tra residenti: ciò che grossolanamente viene definita sostituzione. Risulta però arduo trovare evidenza scientifica per la sostituzione senza condurre analisi approfondite ad hoc, considerando che i trend correnti evidenziano un aumento del numero di frontalieri parallelo a una disoccupazione pressoché stabile. L’apertura rimane la via che se da un lato sfida l’economia domestica, dall’altro può valorizzarla ulteriormente".

E la chiusura?

"Limitare l’entrata di lavoratori stranieri potrebbe comportare ricadute negative sulle aziende maggiori, cioè più volte all’internazionalizzazione, e sullo sviluppo delle relazioni commerciali. Questa riflessione richiama una valutazione specifica delle conseguenze legate alla votazione del 9 febbraio 2014: una chiusura o una complicazione burocratica nel mercato del lavoro trasnfrontaliero avrebbe ricadute negative su molte aziende del nostro territorio. Un’eventuale contrazione di queste aziende creerebbe a sua volta un effetto diretto sia sul livello del gettito fiscale, sia sul livello competitivo del cantone e un effetto indiretto sulle aziende di dimensioni minori".

Lei afferma che l’economia ticinese ha anche bisogno di maggiore coesione sociale: indispensabile per arricchire il sistema imprenditoriale. In che senso?

"Nella pratica economica si dà importanza alla coesione sociale di un territorio in quanto ritenuta una leva per migliorare non solo i rapporti tra singoli individui, ma anche tra imprenditori e tra cittadini e istituzioni. I dati evidenziano che in Ticino vi è una forte carenza di reti relazionali. Tutto ciò si riflette nella struttura economica e nel livello di soddisfazione e partecipazione alla vita sociale ed economica all’interno del territorio".

Come intervenire?

"Il capitale sociale è una componente strutturale dell’economia, molto importante e al tempo stesso difficile da misurare quantitativamente. Lo studio dell’Istituto ricerche economiche dell’Usi considera da un lato il capitale sociale generato a livello istituzionale, quantificato esaminando le azioni di aiuto interregionale da parte dei cantoni: il cantone Ticino ha destinato lo 0,06% delle spese totali per la solidarietà, mentre i cantoni di Ginevra, Basilea-Città e Giura sono i più virtuosi, essi destinano infatti quote uguali o superiori al mezzo punto percentuale.

La componente privata è rappresentata invece dal numero di associazioni benefiche senza scopo di lucro. Il Ticino presenta un numero di organizzazioni benefiche, rapportate alla popolazione, superiore alla media svizzera. Quest’ultimo aspetto è fondamentale per regioni di piccole dimensioni e con una competitività economica non molto elevata. Infatti, diversi studi dimostrano che il capitale sociale può avere effetti positivi sulla performance imprenditoriale: imprese che operano in territori con caratteristiche economiche non elevate, ma con una buona e solida rete sociale, possono raggiungere comunque buoni risultati. Tuttavia, dalle ultime stime condotte dai ricercatori Ire, in Ticino tale relazione non sembra sussistere. In questo senso, un rafforzamento della coesione sociale potrebbe migliorare anche la performance imprenditoriale".

 

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