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CANTONEDell’Agnola: "Oggi è più difficile crescere"

24.09.14 - 07:01
Dopo la messa in scena a teatro, il 27 settembre arriverà nelle librerie "Baciare non è come aprire una scatoletta di tonno", il nuovo romanzo di Daniele Dell’Agnola
Dell’Agnola: "Oggi è più difficile crescere"
Dopo la messa in scena a teatro, il 27 settembre arriverà nelle librerie "Baciare non è come aprire una scatoletta di tonno", il nuovo romanzo di Daniele Dell’Agnola

TICINO - Classe 1976, docente di italiano alla Supsi e alla Scuola Media di Giornico, scrittore, musicista e autore per il teatro, Dell’Agnola sta per dare alle stampe, per Infinito Edizioni, la sua nuova opera – fresca e coinvolgente – in cui racconta di una 24enne neolaureata, supplente in una scuola della Svizzera Italiana, che si ritrova al cospetto di una classe di quindicenni problematica. Disagio giovanile, violenza e amori pericolosi sono all’ordine del giorno…

Daniele, immagino che il libro riprenda buona parte delle tue prime esperienze in classe…
"Il romanzo racconta alcune possibili esperienze, dentro e fuori dalle mura scolastiche, ma rispecchia soprattutto un bisogno di raccontare storie, divertendomi con i personaggi: i quindicenni della quarta D, i colleghi della bella supplente (protagonista), i genitori arrabbiati. Li ho “inseguiti” in classe, nell’aula docenti, nei pressi del muretto (luogo di incontro dei ragazzi), al Bar-Acobama dove si battono i pugni sui tavoli e si leggono i domenicali con la bava nelle orecchie".

So che di “Baciare non è come aprire una scatoletta di tonno” è nata prima la pièce teatrale… Perché?
"La storia è diventata un progetto teatrale, prima in una scuola media, in seguito in un ambito artistico indipendente, perché gli ex allievi mi hanno chiesto di continuare un’esperienza in scena, con l’aiuto dell’attrice Ioana Butu. Nel 2011 abbiamo dato vita a un’esperienza d’incontro e di lavorazione del testo e dello spettacolo. Nel frattempo il romanzo è maturato, perché continuavo a leggere entusiasmo per questa iniziativa. Oltre alla scrittura, ho giocato sulle musiche, che ho composto ed eseguito in studio (sono disponibili su Souncloud) grazie all’amico Gabriele Coduri. Si tratta insomma di una fetta di vita molto arricchente, ma estremamente impegnativa".

Quando e perché hai deciso di dare alle stampe il romanzo?
"
Ho deciso un anno fa, dopo aver vinto un bando per la traduzione in francese e tedesco dell’opera teatrale, scritta per un collettivo internazionale, Masks on stage, che ha sede a Montpellier, in Francia. I cinque attori, provenienti da diversi paesi europei, hanno trovato interessante produrre una lettura scenica del testo nelle tre lingue nazionali. Dopo l’avventura con il mio primo romanzo, “Melinda se ne infischia” (Infinito Edizioni, 2008), uscito con la prefazione di Dario Vergassola (forse proprio per questo si è trattato di un’uscita editoriale felice, con una tournée di presentazioni incredibile), ho voluto così ripresentarmi ai lettori, proprio perché il progetto non sembrava mai spegnersi. Il mio editore di Modena ha lanciato una proposta interessante, che ho accolto molto volentieri".

Quali le differenze tra i due testi?
"Il romanzo offre il punto di vista di una supplente che conosce per la prima volta una classe di quindicenni. L’occhio narrativo è il suo. La pièce interpretata dai ragazzi assume invece l’ottica dell’adolescente che incontra e si scontra. Lo spettacolo dura 45 minuti ed è una libera rielaborazione, che porta il merito di Ioana Butu alla regia e dei ragazzi, che a tratti hanno proposto delle modifiche al testo, stravolto con sensibilità in alcune scene. Dovrei essere più generoso e togliere la mia firma dal testo teatrale dei ragazzi".

Oggi, con anni di esperienza alle spalle, come gestisci una situazione simile a quella del libro?
"
Di adolescenza, finora, ho capito poco. Non mi resta che raccontare senza troppe pretese e andare a lavorare con piacere. Forse, la consapevolezza di svolgere una professione così arricchente, può aiutarmi a gestire le situazioni difficili".

Rispetto a quando eri tu a trovarti sui banchi delle medie, quanto sono cambiati i ragazzi?
"Oggi è più difficile crescere. Lo dico spesso, anche se ormai è un luogo comune".

Portaci in classe con te… Come docente, come ti descriveresti?
"Uno normale. Ti prego, non chiedere ai miei studenti di descrivermi… (ride)"

Che rapporto hai invece con i tuoi ex allievi?
"Sono splendidi. Ioana ed io siamo entusiasti. Ci hanno portati fin qui".

I docenti severi (esistono ancora?) hanno più probabilità di essere ascoltati dagli studenti?
"Di solito si dice che bisogna essere autorevoli, cioè conoscere la propria materia e saperla proporre con passione. Ma il problema è ben altro: c’è ancora, tra gli adulti, la capacità di ascoltarsi?"

Chi abbassa troppo i toni rischia in qualche modo di “svestirsi” del proprio ruolo?
"Questo cantone è pieno di personaggi che vestono “ruoli” indossati con la goduria dell’urlo. A scuola ammiro quei colleghi che sanno sorridere bene. Ieri un collega ha letto una storia alle future maestre di scuola elementare, durante un corso che teniamo insieme alla Supsi: il sole sposava una ruota di bicicletta. Testimone di lei, una pompa; testimone del sole, l’aria azzurra del cielo. Questo è un “ruolo”, un bel vestito elegante e appassionato, anche se il collega ha letto sottovoce. Il testo è di Piumini".

Quale impatto ha quello che oramai possiamo definire “l’italiano da WhatsApp” sul rendimento di uno studente?
"Non ho mai studiato questa faccenda, ma ci sono esperti che hanno svolto ricerche interessanti. Mi viene in mente un altro testo incredibile, “La grande fabbrica delle parole” (di Agnès de Lestrade e Valeria Docampo), una storia ambientata in un mondo nel quale le parole costano. Una frase come “Ti amo mia bella Cybellela può pronunciare solo un ragazzo di buona famiglia. Il protagonista, Félias, innamorato di Cybelle, non sa come dichiararsi. Non ha parole. Cito questo volume perché la nostra battaglia va fatta “per le parole”, non contro gli strumenti tecnologici. A novembre sarò a Milano Book City perché mi hanno coinvolto in un incontro con ragazzi tra i 16 e i 18 anni che leggeranno il romanzo. Le docenti mi hanno scritto: “In generale questi ragazzi hanno un vissuto difficile. Non hanno parole da mettere sul vissuto.” Sarà un’occasione".

In vista delle votazioni cantonali del 28 settembre, cosa deve cambiare assolutamente nella scuola ticinese?
"Vivremo un forte cambio generazionale. Questa è una sfida irrinunciabile e la responsabilità di chi forma docenti è rilevante. Ricordo ancora con una certa nitidezza alcuni atteggiamenti incoraggianti della mia prima maestra delle elementari che mi propose una particina nella recita di fine anno. Ricordo la scena di una mia allieva di quarta media che, in un momento di lutto, scriveva un bigliettino d’affetto per il compagno scomparso, appendendolo al lampadario di casa mia, sopra al tavolo attorno al quale 25 quindicenni stavano seduti a pensare.

Questo per dire che l’intera rete legata alla scuola dell’obbligo è un equilibrio complesso e delicato che la politica dovrebbe sforzarsi di capire maggiormente. Il voto del 28 settembre per me ha un grande valore, perché le famiglie hanno la possibilità di lanciare un messaggio a quei politici che a volte parlano di scuola senza aver mai visitato un’aula".

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