Cresce in Svizzera il numero delle persone dipendenti dalla pornografia, tra queste anche molte studentesse. Sophie Nicole, direttrice della clinica Belmont, tratta questi pazienti: "Da noi arrivano anche ticinesi"
GINEVRA – Passano ore e ore davanti allo schermo. Spesso si masturbano guardando foto e video, a volte intrattengono rapporti virtuali con altri utenti della rete. Circa il 6% degli svizzeri è malato di sesso, in particolare di pornografia online. E il dato che emerge dalle inchieste condotte di recente dalla Fondazione Phénix e da Dipendenze Svizzera è altrettanto inquietante: circa il 10% degli internauti risulta dipendente dal sesso sul web. Non a caso le cliniche per la cura delle dipendenze sessuali sono sempre più gettonate. Ad esempio quella di Belmont a Ginevra, a cui si rivolgono anche diversi ticinesi. “Il nostro obiettivo – spiega la direttrice Sophie Nicole – è quello di fare riscoprire a queste persone una dimensione sana della sessualità”.
Quante sono le persone che ogni anno si rivolgono a voi?
Circa una sessantina all’anno. Provengono un po’ da tutta la Svizzera. Anche dal Ticino.
Ci parli delle varie casistiche…
A un primo livello c’è chi ha attività sessuali ripetute con più partner consenzienti. In un secondo stadio troviamo chi non riesce più a gestire la propria situazione, avendo conseguenze ad esempio sul lavoro o a livello finanziario. Mi riferisco a chi sperpera quotidianamente denaro con le prostitute. C’è, infine, anche chi vive fuori controllo e sfocia dunque nell’abuso sessuale. La maggior parte delle persone che si rivolgono a noi si trova nelle prime due categorie. La nostra missione è impedire che queste persone arrivino al terzo stadio.
Il loro completo recupero è possibile?
Sì. Ma ci vuole tempo. Anche 1 o 2 anni. Di solito i pazienti sono seguiti ambulatorialmente, ma nei casi più gravi è prevista l’ospedalizzazione. In diversi casi le cure sono coperte dalla cassa malati.
Chi sono i vostri pazienti?
Il ventaglio è molto ampio. Ci sono persone di 20 anni come persone di 60 anni. L’aspetto curioso è che si rivolgono a noi parecchie donne. Pensate che il 40% di chi ha dipendenze da pornografia online è di sesso femminile. In particolare si tratta di ragazze, di studentesse.
Perché si arriva a questi punti?
Per queste persone il sesso non è un piacere. Bensì una valvola su cui sfogare le frustrazioni. Un po’ come lo sarebbero l’alcol o la droga. Usano il sesso per calmarsi, per evadere. Noi, durante le nostre terapie, cerchiamo di fare capire al paziente che per scaricare le tensioni esistono altri mezzi, più costruttivi. Lo stimoliamo a coltivare interessi, ad avere un hobby. Lo seguiamo passo dopo passo nel progetto di recupero, incitandolo a gestire meglio le proprie emozioni.
Secondo lei a cosa è dovuta questa necessità di scaricare le tensioni?
La società moderna è improntata sul concetto di perfomance, sull’esigenza di produrre. Nel mondo della scuola, sul lavoro, in famiglia. Ci sono persone che non riescono a reggere una simile pressione. E allora il sesso diventa un mezzo per fuggire dalla realtà.
Oggi la pornografia è ovunque. Lei cosa ne pensa?
Premetto che i malati di sesso ci sono sempre stati. Solo che in passato si aveva vergogna a parlarne. Non si può nascondere, tuttavia, che viviamo in una società in cui il sesso è al centro di tutto. In televisione, nella pubblicità, sui social network. Gli stimoli sono enormi, soprattutto per gli individui più fragili.