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CANTONE / GINEVRA"Sono malato di sesso, curatemi"

22.09.14 - 06:16
Cresce in Svizzera il numero delle persone dipendenti dalla pornografia, tra queste anche molte studentesse. Sophie Nicole, direttrice della clinica Belmont, tratta questi pazienti: "Da noi arrivano anche ticinesi"
Foto d'archivio (Tipress)
"Sono malato di sesso, curatemi"
Cresce in Svizzera il numero delle persone dipendenti dalla pornografia, tra queste anche molte studentesse. Sophie Nicole, direttrice della clinica Belmont, tratta questi pazienti: "Da noi arrivano anche ticinesi"

GINEVRA – Passano ore e ore davanti allo schermo. Spesso si masturbano guardando foto e video, a volte intrattengono rapporti virtuali con altri utenti della rete. Circa il 6% degli svizzeri è malato di sesso, in particolare di pornografia online. E il dato che emerge dalle inchieste condotte di recente dalla Fondazione Phénix e da Dipendenze Svizzera è altrettanto inquietante: circa il 10% degli internauti risulta dipendente dal sesso sul web. Non a caso le cliniche per la cura delle dipendenze sessuali sono sempre più gettonate. Ad esempio quella di Belmont a Ginevra, a cui si rivolgono anche diversi ticinesi. “Il nostro obiettivo – spiega la direttrice Sophie Nicole – è quello di fare riscoprire a queste persone una dimensione sana della sessualità”. 

Quante sono le persone che ogni anno si rivolgono a voi? 
Circa una sessantina all’anno. Provengono un po’ da tutta la Svizzera. Anche dal Ticino.       

Ci parli delle varie casistiche…
A un primo livello c’è chi ha attività sessuali ripetute con più partner consenzienti. In un secondo stadio troviamo chi non riesce più a gestire la propria situazione, avendo conseguenze ad esempio sul lavoro o a livello finanziario. Mi riferisco a chi sperpera quotidianamente denaro con le prostitute. C’è, infine, anche chi vive fuori controllo e sfocia dunque nell’abuso sessuale. La maggior parte delle persone che si rivolgono a noi si trova nelle prime due categorie. La nostra missione è impedire che queste persone arrivino al terzo stadio.  

Il loro completo recupero è possibile?  
Sì. Ma ci vuole tempo. Anche 1 o 2 anni. Di solito i pazienti sono seguiti ambulatorialmente, ma nei casi più gravi è prevista l’ospedalizzazione. In diversi casi le cure sono coperte dalla cassa malati. 

Chi sono i vostri pazienti?
Il ventaglio è molto ampio. Ci sono persone di 20 anni come persone di 60 anni. L’aspetto curioso è che si rivolgono a noi parecchie donne. Pensate che il 40% di chi ha dipendenze da pornografia online è di sesso femminile. In particolare si tratta di ragazze, di studentesse.  

Perché si arriva a questi punti?
Per queste persone il sesso non è un piacere. Bensì una valvola su cui sfogare le frustrazioni. Un po’ come lo sarebbero l’alcol o la droga. Usano il sesso per calmarsi, per evadere. Noi, durante le nostre terapie, cerchiamo di fare capire al paziente che per scaricare le tensioni esistono altri mezzi, più costruttivi. Lo stimoliamo a coltivare interessi, ad avere un hobby. Lo seguiamo passo dopo passo nel progetto di recupero, incitandolo a gestire meglio le proprie emozioni.

Secondo lei a cosa è dovuta questa necessità di scaricare le tensioni?  
La società moderna è improntata sul concetto di perfomance, sull’esigenza di produrre. Nel mondo della scuola, sul lavoro, in famiglia. Ci sono persone che non riescono a reggere una simile pressione. E allora il sesso diventa un mezzo per fuggire dalla realtà.  

Oggi la pornografia è ovunque. Lei cosa ne pensa?
Premetto che i malati di sesso ci sono sempre stati. Solo che in passato si aveva vergogna a parlarne. Non si può nascondere, tuttavia, che viviamo in una società in cui il sesso è al centro di tutto. In televisione, nella pubblicità, sui social network. Gli stimoli sono enormi, soprattutto per gli individui più fragili. 

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