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PREGASSONA"Pronto a ricevere la laurea, nonostante la SLA"

29.08.14 - 07:00
La storia di Corrado Valeri, che due anni fa è stato colpito dalla terribile malattia: "Fino a quel momento non avevo mai avuto problemi. La secchiata d’acqua gelida? Me la sono tirata anche io"
"Pronto a ricevere la laurea, nonostante la SLA"
La storia di Corrado Valeri, che due anni fa è stato colpito dalla terribile malattia: "Fino a quel momento non avevo mai avuto problemi. La secchiata d’acqua gelida? Me la sono tirata anche io"

LUGANO – “Sono pronto a ricevere la laurea in ingegneria informatica, nonostante la SLA”. È un inno alla determinazione, Corrado Valeri, 42enne di Pregassona. La sua è una storia che tocca il cuore. Perché fino a due anni fa la sua vita era assolutamente normale. Una compagna, una figlia, una passione per l’informatica da portare avanti. Poi la tremenda malattia degenerativa che gli piomba addosso come un fulmine a ciel sereno. E la quotidianità che si trasforma in una lotta continua. Ora che il rito dell’Ice Bucket Challenge, la catena di sant’Antonio a colpi di secchiate d’acqua gelida in testa, ha riportato la SLA (Sclerosi laterale amiotrofica) sotto i riflettori, Corrado racconta la sua esperienza. Partendo proprio da quel secchio. “Me lo sono tirato in testa anch’io – dice –, incitando la gente a fare una donazione all’associazione ticinese che si occupa di questa malattia”.

Lei fa parte della quarantina di ticinesi malati di SLA. Quando e come ha avuto i primi sintomi?
"È stata una cosa inattesa, anche perché fino ai 40 anni ho sempre goduto di buona salute, donavo pure il sangue. Un giorno mi sono accorto che zoppicavo dalla parte destra, senza motivo. Chiaramente quando stai bene, non ti metti a pensare subito al peggio. Credevo fosse colpa dello stress, del troppo studio, del lavoro. E infatti, tra un accertamento e l’altro, da quel momento fino alla diagnosi sono passati 5 mesi. È stato un boccone difficile da mandare giù".   

La SLA è una malattia degenerativa. Dopo due anni, quali segni ha già lasciato sul suo corpo?
"Sto perdendo l’uso delle gambe. Cammino un po’ con le stampelle, ma per il resto mi muovo in sedia a rotelle. A livello di masticazione e di movimento delle braccia, resisto".

Come vede la sua vita in prospettiva? Il futuro le fa paura?
"Il fatto è che non si sa esattamente da dove viene la SLA, non si può prevenire. Ma soprattutto non si può capire quale evoluzione avrà sul corpo della persona. Ogni caso è a sé. I motoneuroni vengono distrutti e il corpo si paralizza. Ma non si sa con quale tempistica. Dopo che mi è stata comunicata la diagnosi, ho iniziato un percorso di sostegno psicologico. Mi permette di cercare le risorse dentro di me per affrontare questa battaglia. Sto lottando per la mia indipendenza. E il fatto che io sia riuscito a mantenere il lavoro e a portare a termine i miei studi in ingegneria informatica alla SUPSI rappresenta un enorme traguardo per me".   

Ci parli della sua nuova quotidianità…
"Continuo a lavorare come assistente ricercatore nell’ambito dell’intelligenza artificiale. Purtroppo la malattia mi costringe a ridurre la percentuale d’impiego. Devo fare regolarmente fisioterapia, ad esempio. Per il resto ci sono i famigliari che mi danno tanta forza: la mia compagna, mia figlia. Impediscono che io crolli. La situazione è difficile per me, ma anche per loro. Quando in casa c’è un malato di SLA, la vita dei famigliari viene stravolta".       

Quanto le costa, finanziariamente, la sua malattia?
"Parecchio. Abbiamo dovuto adattare l’architettura dell’appartamento alle mie nuove necessità. Per forza di cose abbiamo sostituito anche la rete del letto. Fortunatamente abitiamo su un unico piano e non ci sono scale. Il giardino, però, è in discesa. E quindi va sistemato. Per il resto ci sono le cure, che sono costosissime. Ma la cassa malati mi rimborsa buona parte delle spese mediche. E anche il sistema dell’assicurazione invalidità mi dà una mano importante".   

Cosa le manca della sua vita precedente?
"Dal punto di vista fisico, la malattia mi ha tolto la capacità di fare quasi tutto. Mi manca molto il ballo latino americano. È sulla pista da ballo che ho conosciuto la mia compagna".

Torniamo alle secchiate d’acqua ghiacciata. 
"Ci stanno. L’unico rischio che intravedo è che molti prendano questo fenomeno come un gioco sociale e basta. In generale però credo che abbiano il merito di fare parlare di una malattia che spesso è sconosciuta. E poi, grazie alle donazioni, le secchiate d’acqua gelida aiutano le varie associazioni a sostenere i malati e la ricerca". 

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