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CANTONEQuando la felicità è rinchiusa in una latta di biscotti

26.08.14 - 06:06
Prodotti moderni con un packaging datato: una tendenza di successo sopra gli scaffali. Le ragioni? "Nostalgia dell’infanzia e bisogno di certezze - spiega l’esperto – Non si comprano pasta e caffè, ma il ricordo di un passato felice"
Foto Coop
Quando la felicità è rinchiusa in una latta di biscotti
Prodotti moderni con un packaging datato: una tendenza di successo sopra gli scaffali. Le ragioni? "Nostalgia dell’infanzia e bisogno di certezze - spiega l’esperto – Non si comprano pasta e caffè, ma il ricordo di un passato felice"

BELLINZONA - Il gusto è retrò: ma solo quello della confezione. Pasta e caffè, olio e biscotti garantiscono standard di qualità da Terzo Millennio: ma per festeggiare i suoi primi cento anni Coop li propone sugli scaffali, in edizione limitata e fino a esaurimento scorte, con un packaging retrò. Gli archivi fotografici degli anni Trenta hanno fatto da ispirazione per undici prodotti, fra cui vasetti di crema e vecchie scatole di fiammiferi, che dagli scaffali si offrono con fierezza in una veste grafica accattivante nelle sue linee essenziali e “superate”: una strategia di marketing collaudata ed efficace, che ha già coinvolto marchi blasonati con successo.

Qualcuno lo chiama “ritorno al passato”, qualcuno “vecchio che diventa nuovo”: in America, dove il fenomeno è datato a una ventina di anni fa, i primi esperimenti sono diventati prassi; e gli studi per capire la ragione della forte presa sul consumatore si moltiplicano, registrando un dato di fatto. “Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a una tendenza a recuperare la memoria, sintomo e frutto di due situazioni differenti – spiega Carlo Meo, amministratore delegato della società di consulenza sui comportamenti di consumo e di retail design “Marketing & Trade”, autore di volumi come “Vintage marketing” e “Design Marketing”  - Da un lato, c’è l’effetto nostalgia: in contesti di incertezza e di difficoltà come quelli attuali, dove il lavoro manca o è sempre più flessibile, ancorarsi alle icone del passato e alle loro certezze è un bisogno e un piacere. Dall’altro, è una garanzia per il marchio. Le statistiche dicono che, di cento prodotti lanciati sul mercato, la maggior parte non supera il primo anno di vita. È sempre più difficile fare breccia nel consumatore, i risultati sono spasso deludenti: meglio puntare su qualcosa di già collaudato".

Tempi lontani, modi di consumo diversi. Perché il packaging di una volta dovrebbe funzionare oggi?  
"Alcuni prodotti oggi nascono già con un ciclo di vita che prevede già un rilancio vintage: è un’ottima strategia di marketing. Il successo non è assicurato: conta molto il contenuto, che dev’essere invece al passo coi tempi. Si tratta di un mix di epoche: l’iconografia del passato che si mescola con un prodotto moderno. Pensiamo alla Fiat Cinquecento, attualizzata e rilanciata con una linea accattivante, destinata non più ai lavoratori ma ai giovani. O semplicemente al caffè: la confezione retrò piace, si presta al collezionismo, ma perché il consumatore l’acquisti il prodotto deve essere coltivato, trattato, macinato con tecniche moderne".

Il fascino del vintage su chi può e mira a fare leva?
"La fascia si è progressivamente allargata. All’inizio si pensava alle persone di 40-50 anni, oggi il target è sempre più giovane. Anche il ragazzo di 18 anni prova nostalgia davanti a prodotti che gli ricordano l’infanzia".

Spesso la confezione vintage è associata all’edizione limitata: perché?
"Spesso le due cose sono collegate, ma non è automatico. L’edizione limitata, ad esempio, ha molto successo nel mondo della moda, disgiunta dal vintage. Il ritorno delle Nike Air, di contro, è vintage che prescinde dall’edizione limitata. Il caso di Coop è particolare anche per altri motivi. Alcune confezioni portano in sé anche l’idea del riutilizzo, in un mercato che ha grande apprensione verso il riciclo dei materiali".

Il progetto però ha una data di scadenza: “fino a esaurimento scorte”, come se troppo retrò stancasse o finisse per ridiventare scontato. È così?
"È il grosso limite di ciò che nasce in una situazione di debolezza, come si diceva poco fa. Oggi tutto è vintage: anche il torneo di tennis o il concerto. I Rolling Stones tornano sul palco e hanno successo, per i Dire Straits addirittura è un trionfo anche se manca Mark Knopfler.  Coop è un’insegna di distribuzione innovativa per ideazione dei prodotti e ricette, ha colto una tendenza".

Se è così legata alla fragilità del momento, significa che avrà una fine?
"In ogni cosa c’è sempre stato un ritorno al passato, a un certo punto. Ultimamente è diventata una tecnica di marketing, ma la voglia di ritornare indietro è insita nella natura umana. Bisogna anche innovare, è vero: ma una tendenza a pescare nel passato rimarrà sempre. Ora siamo al picco: ma non è una  moda. È un’abitudine di consumo. Non morirà. Diminuirà".

La crisi, con la sua necessità di recuperare magari vecchi abiti dall’armadio o mobili dalla soffitta, quanto ha contribuito al ritorno del vintage.
"L’idea del risparmio, del recupero di vecchi materiali c’è. Merito delle aziende è saper sfruttare queste realtà: ma tutto finisce qui. Il marketing crea un bisogno andando a ripescare la memoria dal passato: è molto diverso dal concetto di risparmio che si realizza utilizzando ciò che si ha già. Questo è marketing sociale, casomai; ma un cappotto fuori moda non può fare tendenza. Comprando vintage, non compri un prodotto del passato: compri il ricordo di un passato felice".

Dopo anni di marketing sofisticato, alla ricerca di clamore e originalità ostentata, si torna alla semplicità?
"All’autenticità. A un modo di comunicare differente, meno gridato. Di urlare non c’è più bisogno: i prodotti del passato, con la loro confezione semplice, molto iconografica, unica, offrono un senso di autenticità che conquista il consumatore senza far baccano. Coop a suo modo lo fa da sempre, attraverso i prodotti Naturaplan. Da Carrefour, invece, rischi di non vedere la carne che stai comprando, tanto è coperta dalle etichette".

Si continuerà su questa strada?
"Al di fuori del vintage, oggi i migliori brand stanno tornando alla semplicità. Apple, per esempio, con le sue linee sobrie ed essenziali: chi ha valori come azienda, punta alla qualità del prodotto e torna indietro rispetto ai meccanismi del consumismo anni Ottanta. Il recupero del vintage ha fatto capire che la comunicazione attraverso il packaging era diventata troppo elaborata, quasi estranea  alla qualità del prodotto".

Si torna a credere nel contenuto, invece di “venderlo” a ogni costo?
"Sì. Questo è un altro aspetto che merita di essere approfondito. L’Europa sta tornando al vintage inteso come recupero di modi, mestieri, saper fare del passato. A Parigi hanno inaugurato una via di botteghe artigianali che si ispirano a quelle di una volta. La macelleria, la pescheria, la panetteria, il fruttivendolo".

È la dimostrazione che il consumismo ha fallito?
"La grande distribuzione ha già detto tutto, ha massificato, standardizzato: adesso si sente il bisogno di un approccio nuovo. Ed è quello di una volta, che fa leva sulla voglia di pane appena sfornato invece che precotto. Anche il proliferare di gelaterie artigianali va in questa direzione. Vale per il food, ma anche per il non food".

E il prezzo?
"È vero, in certe catene di abbigliamento posso comprare molti capi a prezzi bassi: ma la qualità? Un bel cappotto, invece, dura nel tempo, si può adattare anche alla variazione di taglia. Non è un caso se oggi anche i discount lavorano con il vintage: è un modello di consumo". 

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