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LUGANOIl ticinese che vive di jazz a New York

20.08.14 - 06:17
Gabriele Donati, contrabbassista, vive da vent’anni nella Grande Mela. Stasera alle 21 terrà una performance a Jazz In Bess (via Besso 42A)
Gabriele Donati, classe 1974
Il ticinese che vive di jazz a New York
Gabriele Donati, contrabbassista, vive da vent’anni nella Grande Mela. Stasera alle 21 terrà una performance a Jazz In Bess (via Besso 42A)

LUGANO - Gabriele Donati non si esibirà in trio come annunciato, ma in quartetto: “A condividere il palco con me, Greg Ruggiero (chitarra) e Stéphane Vasnier (pianoforte) ci sarà anche Luca Stoll (sax tenore). Si tratta di una decisione dell’ultimo minuto…”, mi spiega. Il jazz è così, imprevedibile, come coloro che, giorno dopo giorno, si cibano di quelle musiche, di quegli standard, riproponendoli nel mezzo della notte, tra le mura di club poco illuminati… “In programma stasera – anticipa – un repertorio tratto dal “Great American Songbook””.

Gabriele, quando e come è iniziata la tua avventura a New York?

Appena portato a termine il liceo, nel 1995, sono partito per gli Stati Uniti con l’obiettivo di imparare a suonare il contrabbasso jazz. Un po’ a occhi chiusi, oltretutto, senza conoscere la città, senza riflettere sul significato dell’esperienza, e con la consapevolezza di un ventenne cresciuto a Muzzano.

A quelle latitudini si riesce a vivere soltanto di musica?

Dipende cosa intendi con il termine “vivere”. C’è chi vive in quattro metri quadrati e magia soltanto noodels, e chi ha il loft a Soho… Oppure chi passa le notti (quando non è nei club a suonare) sui divani degli amici, e chi ha un appartamento su Park Avenue. Gli standard di vita variano drammaticamente. Se ami gli spazi raccolti e ti piacciono i noodles è fattibile…

E tu dove vivi?

Non in un quattro metri quadrati, ma in un bell’appartamento ad Harlem, anche grazie a un’attività parallela in ambito grafico…

Quali le più belle esperienze in territorio americano?

Indubbiamente gli incontri con gli artefici della musica che amo, il jazz, più precisamente quello della tradizione swing e bebop. È vero che spesso credo di essere nato troppo tardi - almeno con sessant’anni di ritardo - ma nel contempo mi considero un ponte tra passato e futuro, poiché tanti di quei musicisti sono ancora in vita o scomparsi da poco… Parlo di Barry Harris, Frank Wess, Jimmy Heath, Jimmy Cobb, Hank Jones, Steve Little, Bill Crow, Milt Hinton, Ray Brown…  Tutte persone a cui devo tutto, o quasi… I miei figli non avranno questa fortuna…

E le esperienze peggiori?

Non vedo la vita e le esperienze in termini negativi. Posso solo dire che a vent’anni mi sono ritrovato nella realtà newyorkese. Diciamo che ho dovuto, e voluto, imparare a viverla…

Raccontami della tua musica… Quanti album hai all’attivo?

Nel 2001, dopo quattro anni, uscivo dalla New School con una laurea in mano, credendo che fosse indispensabile scrivere i propri brani, sforzarsi a trovare una voce nuova e creare qualcosa di originale… Una sorta di nevrosi che, ora come ora, sembra ne soffrano la maggior parte degli studenti intenti a portare a termine le jazz school. All’epoca ho registrato il mio primo disco da leader, “All In That Sky”. Un album con Richie Beirach al pianoforte e Gregoire Maret all’armonica. Solo qualche anno dopo ho capito che per me non funzionava. Credo di avere perso un po’ troppo tempo a seguire quell’onda che, musicalmente e spiritualmente, non mi ha mai dato un granché. Più gli anni passano e più sono attratto da un certo periodo del passato, e non lo dico con retorica, e nemmeno con nostalgia, ma con la convinzione che in quegli anni, nel jazz, sia stato raggiunto l’apice. Sto parlando della perfezione tra melodia, armonia e ritmo di Coleman Hawkins, di Lester Young o di Louis Armstrong.

Le tue collaborazioni in studio quante sono?

A New York oggi si va poco in studio, specialmente se suoni jazz (swing e bebop). Il novantanove per cento dell’attività è dal vivo.

Quando hai dato vita alla formazione con cui ti esibirai stasera?

Non penso a livello di progetti o di creazioni… La formazione è composta da musicisti che condividono la mia stessa visione della musica, la quale non è altro che il grande amore e il rispetto per il repertorio del "Great American Songbook”. Gente che crede nel valore dello swing, ossia ciò che veramente contraddistingue il jazz dagli altri stili. Troppo spesso si pensa che la caratteristica più importante sia l’improvvisazione, ma non è così...

Con quale musica sei cresciuto?

Ho iniziato ad appassionarmi alla musica afroamericana, al blues e al rhythm & blues, durante gli anni di liceo. La prima frase jazz l’ho sentita suonare dal secondo chitarrista di B.B. King a Estival, e in quegli istanti ho  incominciato a inseguire il mio obiettivo.

Oggi quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?

Per quanto riguarda il jazz, sicuramente i grandi dagli anni Venti agli anni Cinquanta. Altrimenti sul mio giradischi c’è sempre Wagner o Bruckner.

Quale album stai ascoltando in questi giorni?

Mi riesce difficile ascoltare musica in cuffia. Giusto in aereo, tornando in Ticino, ho ascoltato per sei ore il Liszt Recital di Jorge Bolet e la sua versione pazzesca della Tannhäuser Overture (Wagner-Liszt).

Quando tornerai a New York?

Sabato…

E la prossima volta a Lugano?

Probabilmente durante l’estate 2015…

Almeno un po’, il Ticino ti manca?

Mi manca il paesaggio, la natura, le alpi. Quello dei romanzi di Hesse, di Mann, dei quadri di Segantini e delle sinfonie di Bruckner...

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