Cerca e trova immobili

ATTUALITÀMercati di frontiera: non è tutto oro quello che luccica...

13.08.14 - 08:55
Sono quelli che vanno dall’Argentina al Vietnam, i cugini più piccoli dei paesi emergenti
Foto Keystone
Mercati di frontiera: non è tutto oro quello che luccica...
Sono quelli che vanno dall’Argentina al Vietnam, i cugini più piccoli dei paesi emergenti

LUGANO - Da inizio anno ad oggi, gli investitori affamati di rendimenti e alla ricerca di guadagni superiori a quelli attualmente «disponibili», hanno mostrato un crescente interesse per i cosiddetti mercati di frontiera. Secondo il Wall Street Journal, i fondi esteri hanno investito capitali per 2,2 miliardi di dollari USA nei mercati di frontiera, ovvero quelli che vanno dall’Argentina al Vietnam e sono considerati i cugini più piccoli e meno conosciuti dei paesi emergenti (in particolare, a giugno il fondo sovrano norvegese, il più grande del mondo, ha sposato la causa inserendo i mercati di frontiera nel suo portafoglio). La creazione di ingenti volumi di liquidità negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone, stimolata dalle politiche di tassi zero e di allentamento quantitativo, ha agevolato la generazione di rendimenti per gli investitori e flussi di capitali relativamente ridotti sono quindi in grado di spingere al rialzo queste borse di frontiera.

Al contrario, dall’inizio del 2014 ad oggi, sono stati ritirati 720 milioni di dollari dai listini emergenti (la fonte dai dati è il fund tracker EPFR). Il risultato è che dall’inizio dell’anno lo MSCI Frontier Markets ha guadagnato circa il 20%, rispetto ad appena il 5% dell’indice dei mercati emergenti e al 2% dello MSCI World. Ciò significa che alcune delle performance più brillanti a livello mondiale sono giunte dai paesi di frontiera, ma solleva anche il timore che gli apprezzamenti siano determinati dall’ondata di afflussi di capitali in questi piccoli mercati e non dal miglioramento delle prospettive d’investimento. Per molti investitori il problema è che le opportunità nei mercati di frontiera non sono molte e la concorrenza è notevole. Le partecipazioni estere in molte società dell’indice hanno già raggiunto i limiti massimi previsti dalle leggi locali. Ci sono circa dieci titoli che hanno nell’insieme una ponderazione di oltre il 35% nell’indice MSCI Frontier, le aziende del Kuwait rappresentano quasi un quarto della capitalizzazione di mercato totale dell’indice, e quelle nigeriane un quinto. La capitalizzazione di mercato complessiva di tutti i titoli inclusi nello MSCI Frontier Markets è di 109 miliardi di dollari Usa, rispetto ai 4000 miliardi dell’equivalente indice dei paesi emergenti. Considerate le dimensioni dei mercati, alcuni investitori temono una possibile improvvisa fuga di capitali. In presenza di una scarsa liquidità, una rapida ondata di vendite potrebbe causare marcati ribassi delle borse di frontiera.

 

Uno dei motivi degli ottimi rendimenti conseguiti quest’anno dai mercati di frontiera è stata la riclassificazione di alcuni paesi. Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sono stati giudicati sufficientemente solidi da essere promossi a mercati emergenti a giugno, restringendo il novero delle borse di frontiera e concentrando gli afflussi di liquidità in un minor numero di paesi. Di conseguenza, i guadagni in questi rimanenti mercati di frontiera sono stati amplificati. Dall’inizio dell’anno sino a mercoledì scorso, i listini vietnamita e pachistano si sono apprezzati del 20% e del 16% rispettivamente, mentre il Merval Argentino è salito del 50% (tutti in valuta locale naturalmente). Questi impressionanti rialzi hanno permesso ad alcuni paesi di questo universo di raccogliere capitali abbastanza facilmente. L’Ecuador, ad esempio, ha collocato junk bond decennali per un controvalore di due miliardi di dollari USA a giugno, a soli sei anni dall’insolvenza su 3,2 miliardi di dollari di debito del 2008. La vendita ha fatto seguito a un’emissione di pari valore da parte del governo del Kenya avvenuta un giorno prima, che ha attirato ordini per quasi otto miliardi di dollari.

 

Come spiegato tempo fa in questa pubblicazione, la tesi di lungo termine a favore dei mercati di frontiera è abbastanza ovvia. Salvo inattesi shock negativi, il benessere economico tende ad aumentare nel corso dei decenni e in genere chi parte da livelli più bassi cresce più rapidamente per periodi più prolungati. E la dinamica in atto sembra essere proprio questa, in particolare per il blocco principale dei paesi di «frontiera», ovvero l’Africa subsahariana. Lo scorso giugno, la stima di crescita media dell’Fmi per tale regione (per il biennio 2014-15) si attestava al 5,5%, rispetto al 5% per i tradizionali paesi emergenti e ad appena il 2% per le economie avanzate.

 

Il motivo per cui è necessario cautelarsi, come abbiamo chiaramente illustrato in precedenza, è che questi non sono mercati liquidi. Un investimento in questi paesi equivale in qualche modo, in termini di liquidità e impegno, a un investimento di private equity e se, come temiamo, si formassero delle bolle speculative nei paesi sviluppati, il loro scoppio avrebbe ripercussioni molto gravi sui mercati esterni, ed in particolare su quelli emergenti e di frontiera, almeno per qualche tempo…

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE