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TEST DRIVEMazda MX-5 – Due generazioni a confronto

12.08.14 - 08:00
Narrare la storia della roadster più venduta del mondo è piacevole, guidare in pista la prima e l’ultima generazione è un divertimento che non vorresti smettere mai.
Mazda Suissa SA
Mazda MX-5 – Due generazioni a confronto
Narrare la storia della roadster più venduta del mondo è piacevole, guidare in pista la prima e l’ultima generazione è un divertimento che non vorresti smettere mai.

Non è che si tratti di un’automobile poco adatta ai fine settimana in circuito, però non tutti i circuiti le si addicono. Monza, per esempio, sarebbe assolutamente fuori luogo: in rettilineo la MX-5, una volta messa la quarta, non è che abbia un granché da raccontare. Su quelli un po’ più guidati, in cui si crede sempre e comunque di aver bisogno un’infinità di cavalli, inizia a dire la sua convincendoti del contrario. Infine vi sono dei tracciati che sembrano disegnati apposta per lei – come nel nostro caso. Ci troviamo in Francia, a sud di Lione, più o meno ad 1 ora e mezza di strada da Ginevra. Ciricuit de Laquais, per la precisione. Solo un breve rettilineo “spezzato” con due curve da quarta, per il resto un mix di sezioni da terza in cui la leggerezza e l’equilibrio è fondamentale alternato da qualche saliscendi molto emozionanti che, con i dovuti limiti del paragone, ricordano vagamente la Nordschleife.

Senz’ombra di dubbio il terreno di caccia ideale. Nell’ultima sezione, per esempio, v’è una sequenza di curve a destra, tutte da terza, in cui si deve sfruttare tutta (ma proprio tutta) la larghezza della pista (cordoli esterni inclusi) senza mai togliere nemmeno dell’1% il piede dall’acceleratore, supportati dagli pneumatici semi-slick Pirelli montati per l’occasione grazie ai quali i limiti di tenuta slagono notevolmente sino a raggiungere andature da essere all’apparenza impensabili per quello che, alla fin dei conti, è un “giocattolino” che su strada diverte anche ad andature ben meno serie. Così scopri un’automobile che ti riserva, nelle sezioni più impegnative, il classico effetto sorpresa che i possessori di Lotus conoscono molto bene. E una volta capito come sfruttare la leggerezza e il baricentro basso, specie nei cambi di direzione e nelle staccate, allora anche il ritmo diventa parecchio intrigante. Il motore qui più che mai lo si usa tutto vicino alla zona rossa, accompagnato dal suono ruvido del 4 cilindri da 160 cavalli, ben sfruttabili grazie a un cambio dagli innesti corti. L’assetto non è molto rigido ma questo ti permette di sentire come lavora l’auto tra rollio e beccheggio, lavorando bene e con intuitività sui trasferimenti di carico. Questo genere di comunicatività, troppo spesso assente anche su sportive dei giorni nostri ben più blasonate, ti aiuta ad avvicinarti progressivamente al limite, che anche una volta superato leggermente non fa venire i capelli bianchi. Ti diverti, ci giochi, scopri quando perde aderenza il retrotreno, la riprendi, continui a divertirti. Senza dimenticarti che lo sterzo è preciso (anche se non rapidissimo), l’anteriore si infila subito dove vuoi tu e il posteriore segue fedele senza mai essere troppo oppressivo. La libertà di guida prima di tutto. Perché la MX-5 va proprio guidata vecchio stile: con sensibilità e fondoschiena, finché sfruttare tutto il suo equilibrio al limite diventa un fattore naturale.

L’esemplare della prima generazione che abbiamo portato con al circuito, calzante anch’esso delle minuscole semislick, sembra quasi più portato per un’escursione in coppia sulle alpi marittime francesi che non ad un “gita” tra i cordoli. La colorazione è un classico British Racing green, gli interni in pelle beige, il volante un bellissimo Nardi in radica. Un esemplare talmente ben tenuto, immacolato e dal piglio elegante che… verrebbe subito voglia di rinchiuderlo in un museo. Non v’è dubbio sul fatto che una sia la discendente dell’altra: il layout, la posizione di guida, l’atmosfera generale. A cambiare sono solo gli inevitabili segni del tempo che sulla capostipite espone ancora di più la testa al vento (specie per chi, come chi scrive, è alto 1 metro e 90) e ti fa armeggiare ancora con meno interruttori, tanto da pensare di aver solo bisogno dei pedali, del volante e del cambio. E nulla di più. Di fatto è cosi anche sulla terza e ultima generazione, ma l’esperienza di guida tra le due – pur segnando un’inevitabile continuità – è diversa. È come se tutto il tracciato, ora che di cavalli ne abbiamo solo 115, scorresse al rallentatore, come in una sorta di esercitazione. Per inserire l’auto in curva devi dare qualche angolo di sterzo in più, il cambio non va maltrattato come facevi prima. Quindi parti un po’ prevenuto, ma dopo qualche giro – non appena inizi ad esplorarne i limiti – l’esperienza di guida è più reale perché anche la massa da spostare è ritornata attorno alla tonnellata. Ti senti più vicino al suolo, più integrato negli organi meccanici. Qui è ancora più essenziale di prima non sollevare il piede dall’acceleratore e sfruttare tutto ciò che la leggerezza ha da offrire nei cambi di direzione e negli inserimenti in curva. È un’esperienza non altrettanto veloce ma più autentica: nel contesto in cui troviamo un perfetto trait d’union tra un’automobile storica e una moderna.

Ciò che conta di più, in ogni caso, è che guidandole capisci che una è la discendente rispettivamente antenata dell’altra. Si guidano entrambe allo stesso modo e hanno entrambe le stesse caratteristiche, con la differenza che tutto è rapportato all’anno in cui sono state commercializzate: rispettivamente il 1989 e il 2005. Con la differenza che se nel 1989 era relativamente facile trovare un’automobile discretamente potente, leggera, con un cambio manuale e la trazione posteriore, divertente da guidare e priva di elettronica, lo stesso non lo si può dire del 2005. Il che rende l’esperienza con l’attuale MX-5 ancora un po’ più speciale. E se la quarta generazione non mancherà di centrare le promesse mantenute, lo sarà ancora di più.

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