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CANTONE / ITALIALa condanna a Fabio Riva porta in Ticino

21.07.14 - 17:24
6 anni e 6 mesi per l'imprenditore italiano che usava una società con sede a Manno per la vicenda di una presunta truffa allo Stato da circa cento milioni di euro
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La condanna a Fabio Riva porta in Ticino
6 anni e 6 mesi per l'imprenditore italiano che usava una società con sede a Manno per la vicenda di una presunta truffa allo Stato da circa cento milioni di euro

MILANO - 6 anni e 6 mesi. Questa la condanna decisa per Fabio Riva, imprenditore italiano, ex vice presidente del Gruppo Riva, nell'ambito di un'inchiesta che ha svelato una fitta rete di contatti tra Riva, la Svizzera e anche il Ticino.

Stando a quanto riferiscono diversi media italiani sono bastati poco più di due mesi e mezzo per giungere a questa decisione, che prevede la suddetta pena per Riva, che attualmente si trova a Londra e sui cui pende un mandato di estradizione.

Una condanna a cinque anni è stata decisa pure per Alfredo Lo Monaco, cittadino italo-svizzero proprietario della finanziaria Eufin Trade, mentre a tre anni è stato condannato Agostino Alberti, ex direttore amministrativo della società Riva Fire, la holding del gruppo di proprietà della famiglia di industriali siderurgici.

La Riva Fire è stata condannata a pagare 1,5 milioni di euro, oltre al divieto di accedere a finanziamenti statali per 12 mesi e alla revoca di tutti quelli già concessi.

Come se non bastasse il tribunale ha rinviato a un ulteriore giudizio la richiesta del ministero dello Sviluppo economico di condannare la Riva Fire al pagamento di 120 milioni di danni. È stata però stabilita una cosiddetta provvisionale di 15 milioni, che Riva Fire dovrà pagare subito.

Il "gancio" in Ticino - Come funzionava la truffa? Stando ai giudici le persone condannate avevano creato un meccanismo grazie al quale riuscivano ad ottenere fondi statali senza averne diritto, attraverso l’esportazione di tubi per svariati usi.

I soggetti del meccanismo - Stando a quanto riferisce l'Espresso in questo "gioco" in campo erano scesi la capogruppo Ilva spa; la consociata svizzera Ilva Sa, con sede a Manno nel Canton Ticino (che acquistava le merci dalla ditta italiana per poi rivenderle ai clienti finali internazionali); la Eufin Trade, una finanziaria anch’essa elvetica che di mestiere faceva il “forfaiting”, ovvero lo sconto pro soluto di cambiali e infine la Simest, la società pubblica che erogava il contributo in base alla cosiddetta legge Ossola (normativa nata per finanziare parte degli interessi passivi bancari sostenuti dalla imprese esportatrici in determinati settori (macchinari, impianti), quando concedono importanti dilazioni di pagamento ai loro compratori, concretamente fino a cinque anni).

Un meccanismo da 100 milioni - I Riva, però, creavano fittiziamente queste dilazioni grazie alla ticinese Ilva Sa, che acquistava la merce dall’Italia per poi rivenderla a clienti finali, i quali in realtà pagavano sempre in contanti.

La società con sede a Manno emetteva delle cambiali internazionali verso la Spa italiana e le portava subito allo sconto presso Eufin Trade, la quale aveva già preso accordi con la stessa Ilva Sa per il suo riacquisto, in modo da chiudere l’operazione senza che realmente i soldi si muovessero. Veniva inoltre attivato il contributo Simest (contributo agli interessi su finanziamenti concessi da banche italiane o straniere) per coprire gli interessi passivi nati da questo sconto di cambiale, che venivano veicolati in Svizzera evadendo, in sostanza, il Fisco italiano. Contributi, questi, che in realtà non erano dovuti perché con il riacquisto delle cambiali nessun credito era più attivo.

La truffa, tra il 2008 e il 2013, ha permesso di incamerare fondi per circa 100 milioni di euro, l’85 per cento veicolati in Svizzera e divisi tra Ilva sa ed Eufin Trade.

Una situazione decisamente intricata nella quale, come se non bastasse, entra in gioco la richiesta da parte della Confederazione di sbloccare parte delle somme sequestrate dai pm alla Ilva Sa per pagare le imposte, pari a 870 mila franchi su una società che i pm considerano "fittizia ed esterovestita", quindi inesistente, tanto che c’è un’indagine in corso.

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