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BELLINZONACosì io vi invito a oltrepassare i vostri limiti

15.07.14 - 06:14
Stasera, ore 18.30 a Villa dei Cedri, la prima dello spettacolo Con t(r)atto, ideato dall'artista ticinese Maika Bruni con Stefano Beghi. "Il Ticino? Una minoranza che ha paura degli altri e non investe abbastanza su se stesso"
Fonte foto Alberto Campi
Così io vi invito a oltrepassare i vostri limiti
Stasera, ore 18.30 a Villa dei Cedri, la prima dello spettacolo Con t(r)atto, ideato dall'artista ticinese Maika Bruni con Stefano Beghi. "Il Ticino? Una minoranza che ha paura degli altri e non investe abbastanza su se stesso"

BELLINZONA - Cinque giorni 'senza limiti e confini': senza le barriere, i muri e le frontiere che sembravano caduti per sempre nel 1989 a Berlino. Perché non trarne dunque frutto, sfruttarne il potenziale creativo? Nasce così Territori 2014, festival di teatro in spazi urbani che si inaugura oggi a Bellinzona. Con t(r)atto, oggi alle 18.30 a Villa dei Cedri, di barriera ne supera anche un’altra: quella fra generi artistici. "Si tratta di un’esposizione fotografica vivente – spiega la regista ticinese Maika Bruni, 35 anni – Si parte dal reportage del fotografo Alberto Campi e della geografa ticinese Cristina Del Biaggio, che nel 2012 si sono recati là dove, tra Grecia e Turchia, è stato costruito un muro per fermare i migranti che cercano di raggiungere l'Europa. Per capire che cosa significava, hanno percorso la strada dei migranti da Istanbul a Patrasso. Cristina ha raccolto testimonianze, Alberto ha scattato immagini che, raccolte nel reportage fotografico Beyond Evros Wall, si sono meritate il Swiss Photo Award".

Maika, come si fa a raccontare qualcosa che è già stato raccontato dagli altri?
"Lo si rende un’opera multidisciplinare. Bisogna sottolineare che costruzione drammatica non parte dalle foto, ma da tutto il materiale. Non c’è qualcosa che viene prima e qualcosa di conseguenza, non c’è prima l’esposizione fotografica poi lo spettacolo".

Si parla di frontiere: come rendere il tema accattivante e più vicino allo spettatore?
"
Si partiti dal viaggio reale per arrivare a qualcosa di universale. Parliamo del muro concreto per arrivare al muro simbolico. Ci sono ovunque muri invisibili".

Quali?
"La paura, la chiusura verso gli altri, la famiglia, i colleghi. Tutti ce li portiamo addosso".

In Ticino più che altrove?
"Cominciamo da una considerazione: i muri non sono un problema, sono la realtà. Rendere la multiculturalità un problema prima che lo sia significa già di per sé creare un muro. In Ticino il “problema” non è più grave: è più discusso, mediatizzato. Il Cantone è una minoranza all’interno della Svizzera, parte già sulla difensiva. Ma più ci si compatta, più diventa difficile aprirsi agli altri. Il mio intento non è esprimere giudizi, fare la morale. Propongo un percorso: gli attori accompagnano il pubblico lungo un viaggio insieme tra le immagini".

La prima barriera che cade è quella fra attori-spettatori attori: un messaggio?
"Certo. Se vogliamo far vivere qualcosa al pubblico, dobbiamo immergerlo in ciò che narriamo, non proteggerlo. Il pubblico non si troverà in una condizione normale. L’esposizione fotografica, che può essere visitata anche indipendentemente, diventa la scenografia di uno spettacolo in cui sarà protagonista. Quello che vogliamo dire è: “Ok, questo succede là. Ma qui? Quali muri ci sono?”.

La risposta?
"I muri sociali e discriminatori sono molo intimi. Ognuno ha il suo passato culturale, familiare, individuale. Noi forniamo solo uno strumento perché il pubblico si chieda: da che cosa mi proteggo e perché?"

Che cos’è la frontiera, qui e oggi?
"Mancanza di dialogo. È qualcosa di complesso. I muri vengono posizionati là dove c’è paura. La soluzione invece è aprirsi, confrontarsi".

Nel tuo curriculum c’è una formazione pedagogica e una artistica. Come si conciliano?
"L’educazione interculturale porta a sviluppare una sensibilità verso certe tematiche che puoi traduco nel mio lavoro di ricerca artistica. Il teatro ha questa funzione: è un mezzo di mediazione che riesce a fare meno paura. Dà un messaggio poetico, il pubblico può farne ciò che vuole. Un’artista dev’essere sensibile a quello che succede nel mondo. L’arte deve comunicare, altrimenti non ha scopo".

Quanto è difficile fare teatro sociale, in una realtà dove è difficile fare teatro?
"Il teatro non nasce come arte elitaria. Bisogna solo trovare forme efficaci. Ma i mezzi che si mettono a disposizione sono pochi. Il 70% degli artisti non riesce a vivere solo di produzione. Non si investe abbastanza".

E se non si investisse abbastanza perché non interessa abbastanza?
"“Per il tempo di un bucato”, lo spettacolo sulla solitudine che ho fatto in val di Blenio dove prima il teatro praticamente non esisteva, è stato un successo. Non dico che bisogni dare al pubblico tutto quello che vuole: questo no. Ma bisogna riuscire a comunicare con lui, con un linguaggio che possa capire".

Il problema è locale o generale?
"In Ticino ci sono tanti giovani artisti molto bravi. Solo che tanti vanno via oppure fanno altre cose nel frattempo. Non ci sono mezzi sufficienti".

Per questo aspiri a “creare un ponte fra Losanna e il Ticino”?
"Ho cominciato a Losanna perché mi trovavo lì. Voglio creare un ponte fra la Svizzera romanda e il Ticino  perché al Ticino sono molto legata".

A Losanna però il teatro sta meglio?
"C’è una ricerca più ampia, ci sono scuole, formazioni, i teatri sono pieni. Ci sono più mezzi, si investe di più, specialmente sui giovani".

Tutto questo ti ha aiutato?
"Per ora no. Lo farà. Però io sento che in Ticino stiano cambiando le cose. I giovani hanno tanta voglia di fare. Non bisogna fare l’errore di chiudersi. Se si trovano le sinergie fra artisti, può nascere qualcosa di bello e forte".

Una partenza dal basso per coinvolgere le istituzioni in alto?
"A patto di dialogare. In Ticino ci sono tante cose, ma io le sento ancora tanto isolate l’una dall’altra. Quando smetterà di essere così, magari anche le istituzioni si apriranno".

Tu fai parte del 30% che vive di teatro o del 70% cui non basta?
"Io riesco a sopravvivere di teatro. È il mio unico lavoro. Ma collaboro con le associazioni, le scuole. Di sole produzioni non potrei vivere".

Donna, giovane, artista: quanto è dura?
"Non so come sarebbe essere un artista uomo. Essere donna è un po’ come dare alla luce un figlio. Quello che fai nasce dalle viscere e comporta tante rinunce. Io ci metto molto del mio, non ho mai messo in scena il lavoro altrui. Non sento grande differenza fra uomo e donna. Nel sociale no: la gerarchia è più forte e il predominio è maschile".

Per tornare al tema, nel teatro la barriera uomo donna non esiste?
"Io non la sento".

Tu quali barriere hai dovuto superare, per arrivare fino a qui?
"Anzitutto ho dovuto imparare ad ascoltarmi. Dopo dieci anni di scuole di teatro, non osavo considerarmi un’artista. Essere artista, fare teatro è un lavoro come un altro, non va né messo sul piedistallo né banalizzato. La prima barriera da superare è stata dunque l’illusione. Uscire dalla magia, calare il teatro nella realtà. Poi ce ne sono tante. Il teatro mette a nudo, bisogna avere coraggio. Dire “Ok, quello che faccio può piacere o no, ma è quello che voglio esprimere”. È la nostra fragilità e la nostra forza". 

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