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INTERVISTASalite con me, vi prometto emozioni

27.06.14 - 08:29
Vanni Oddera, campione di motocross, si esibisce sabato in uno spettacolo freestyle. Per la prima volta porta in Ticino la mototerapia: "Il mio modo per aiutare gli altri e abbattere le barriere della mente"
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Salite con me, vi prometto emozioni
Vanni Oddera, campione di motocross, si esibisce sabato in uno spettacolo freestyle. Per la prima volta porta in Ticino la mototerapia: "Il mio modo per aiutare gli altri e abbattere le barriere della mente"

RIVA SAN VITALE - Giura che l’emozione più bella sono stati loro a regalarla a lui. "Mi hanno detto: 'Che bello sentire il vento anche quando non c’è vento'». Vanni Oddera si guadagna da vivere sopra una moto da ormai dieci anni. È conscio della sua fortuna: "Aver fatto di una passione una professione". Per questo oggi cerca di render meno sfortunati gli altri, grazie a un progetto di mototerapia nato in Italia, esportato in Russia e che per la prima volta arriverà in Ticino, alle 14.30 di sabato a Riva San Vitale, in occasione di una giornata di beneficenza ideata dall’associazione Cani blù per sensibilizzare sulle barriere mentali e architettoniche. Dopo il riordino del Rally Ronde Ticino e prima della musica di Make Plain, Ladri di Carrozzelle, Zibba e The Vad Vuc si esibirà in uno spettacolo freestyle di motocross, per poi dedicarsi ai disabili.

Disabili e motocross: Vanni, ma come si fa a metterli insieme?
"Sono dieci anni che faccio gare. Mentre correvo guardavo i ragazzi disabili accompagnati a vedere lo spettacolo che rimanevano dietro le quinte, con la vista oscurata dalla gente che stava davanti, incapaci di provare emozioni".

Non sei troppo duro?
"Non con loro, ma con chi li lascia in disparte. Io mi considero fortunato, ho fatto della mia passione una professione, sono felice. La moto è un mezzo che dà emozioni: a loro invece erano precluse. Mi sono detto: “Perché non provare a darle anche a loro?”. Così, quattro anni fa, ho ideato queste giornate".

Di che cosa si tratta?
"Uno show freestyle di motocross di cui sono gli unici spettatori, per cominciare. Poi, assieme agli altri ragazzi del mio team, che si chiama Daboot, li porto in moto. Infine li lascio avvicinare alle rampe, per vedere lo spettacolo più da vicino. La prima volta è stato a Pontivrea. C’erano dieci ragazzi".

Paura?
"Macché. Erano gli altri a provare a metterla. Mi dicevano: “Guarda che questi ragazzi hanno paura di tutto, non reggeranno al rombo di una moto”. Invece tutti vogliono salire con noi. Abbiamo fatto una rivoluzione".
 
Quale?
"Regaliamo emozioni. Basta poco, in fondo. Il messaggio è: tutti hanno qualcosa da dare loro. Io ho la moto. C’è chi ha la musica, chi la danza, chi la cucina. Qualche ora al mese è sufficiente".

Le tue quante sono?
"Due mesi all’anno".

E gli hobby? Il tempo libero?
"Mi piace lo snowboard, il downhill, la pesca. Ma da quando faccio mototerapia ho smesso, non ho più tempo. Non  mi dispiace: è una scelta. Significa che mi piace più fare questo che altro".

Difficile arrivare fino a qui?
"Eccome. All’inizio c’erano molti pregiudizi. La moto è associata all’idea di ribellione, di pericolo, di libertà: qualcosa di inadatto per dei ragazzi disabili. Del popolo libero si ha paura. Però ci sono state tante persone che mi hanno aiutato".

In che modo senti di riuscire ad aiutare loro, invece?
"Dopo essere salito con me, qualche ragazzo mi ha detto: “Che bello sentire il vento quando non c’è vento”. Le cose più semplici per loro sono difficili, anche stare su una moto è qualcosa di strano. E scatena sentimenti. I ragazzi si aprono, ridono, piangono".

Associare il tuo volto a quello di un disabile: nessuno ha provato a dissuaderti?
"Devo dire di no. Accettano che io provi a fare del bene. Anche se poi non tutti riescono a fare altrettanto. Qui in Italia, ad esempio, i disabili sono lasciati molto soli. Io ho fatto anche delle giornate di sensibilizzazione nelle scuole: ormai sono sempre meno i volontari. A me invece si apriva il cuore.
Io felice su una moto e loro, così tristi… non riuscivo a vederli così".
 
Nessuna resistenza da parte delle istituzioni?
"Più che altro ti lasciano solo. In Italia pago le spese di tasca mia, il catering è a carico della mia famiglia, che ha un ristorante. A volte fanno dell’ostruzionismo. Non è il caso del Ticino, che ha offerto  gli spazi e organizzato l’evento. Ma i ragazzi che porterò in moto, una ventina, vengono da Como. Dalla Svizzera nessuno. Il Ticino non si è mosso, purtroppo".

Come te lo spieghi?
"Magari è perché abbiamo avuto poco tempo. O magari perché si ha tutti un po’ paura".

Di che cosa?
"Della diversità. Quando sono andato in Russia per la prima volta, ad esempio, non c’era un disabile per strada. Nessuno. Mi sono detto: “Che strano, allora dalle nostre parti c’è qualcosa che non va”. Ma la cosa che non andava era lì. Li nascondevano dentro alle strutture, senza farli uscire. Erano una vergogna da rinchiudere. A Stalingrado, dove ho fatto la prima esibizione, mi hanno detto che era la prima volta che uscivano dai loro istituti. Pian piano le cose stanno migliorando. Il governo russo ora è molto più disponibile. Il mio progetto è di continuare con loro".

E il Ticino?
"Cominciamo, poi vediamo. Siamo tre piloti, monteremo una rampa per esibirci. Che fatica. Per ottenere i permessi doganali siamo diventati matti".

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