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PREGASSONAFumetto, che passione

06.06.14 - 07:00
Sabato la prima edizione di Games & Comics, fiera del fumetto, giochi e videogames. Beniamino Delvecchio prova a spiegare le ragioni del successo di un'arte che continua a conquistare nuove generazioni
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Fumetto, che passione
Sabato la prima edizione di Games & Comics, fiera del fumetto, giochi e videogames. Beniamino Delvecchio prova a spiegare le ragioni del successo di un'arte che continua a conquistare nuove generazioni

PREGASSONA - L’obiettivo è ambizioso: "Portare in Ticino un po’ di Cartoomics", la fiera legata al mondo del fumetto che a Milano ha raggiunto la 21° edizione e superato, lo scorso marzo, i 55mila visitatori. Carolina Gandolfi, ideatrice dell’evento, dà appuntamento questo sabato al capannone di Pregassona, dove allestirà la sua prima fiera del fumetto. Dalle 10, “Games & Comics” offrirà "cinque postazioni per i videogiochi, giochi di ruolo, esibizioni spontanee di cosplayer, un concerto dei Brain Freeze di Mendrisio, grigliata, sushi, animazione e, naturalmente, tante bancarelle di fumetti". Special guest Beniamino Delvecchio, disegnatore dal 1995: nel suo curriculum anche sei anni di lavoro per Diabolik e, come autore completo, la miniserie western a colori Tokae.

Delvecchio, viene da dire che il fumetto sia l’unica pubblicazione capace di resistere alla crisi del libro di carta.
"Tiene bene, soprattutto all’estero. In Italia magari un po’ meno, ma l’interesse che lo circonda rimane grande. Personalmente, raccolgo molte commesse sia da privati, sia da enti pubblici. Quando vogliono veicolare un messaggio, è al fumetto che pensano".

Come lo spiega?
"Il fumetto affascina, da sempre. È un medium più diretto, semplice da leggere e tradurre, anche perché l’immagine fa da padrona. E riesce a diffondersi via internet: i fumetti in molti casi vengono scaricati da internet".

Quanto conta il fascino che sempre più esercita l’Oriente?
"Moltissimo. Il manga sta riscuotendo un enorme successo, da tanto tempo. I ragazzi si avvicinano al fumetto occidentale leggendo i fumetti giapponesi, che sono più veloci, dinamici: piacciono di più".

Qual è la risposta dell’Occidente?
"In alcuni casi prende esempio, si adatta. Mi vien da citare “ Orfani”. Non è un manga, ma riprende questo linguaggio molto immediato e vicino ai giovani, capace di attirare le nuove generazioni".

Nel futuro dell’editoria in crisi per il fumetto c’è dunque ancora spazio?
"Sì. Soprattutto i fumetti storici vanno forte. Certo, in molti casi devono restare al passo con i tempi".

C’è più voglia di passato o di novità?
"Direi voglia di novità. Si guarda al futuro, ci si aggiorna".

Anche nei personaggi?
"A volte si tentano nuove serie e nuovi personaggi, ma si fa fatica a fare breccia. È difficile creare personaggi coinvolgenti. Non c’è una ricetta. Ho lavorato diversi anni alla realizzazione di Diabolik, personaggio di grande successo ma anche profondamente misterioso. La cosa curiosa è che dopo tanti anni ancora non si capisce quale sia la formula vincente. Meglio legarsi ai personaggi storici: anche se, spesso, quelli nuovi sono fatti benissimo".

È questa la difficoltà cui faceva riferimento?
"Esatto. I giovani oggi sono più attirati dai fumetti stranieri oppure da internet. Non bisogna scordare che 30-40 anni fa non c’era altro. Ora c’è la rete, il pc, i giochi interattivi…"

Quando conta il videogioco nel successo di un fumetto?
"Non aiuta molto, a meno che non vi sia una vera integrazione. I nuovi media portano via pubblico al fumetto. Ma è giusto così. Si va verso la modernità.  Il fumetto si avvia a diventare un prodotto di nicchia. Come il teatro, che sopravvive ma si rivolge a un pubblico selezionato".

Fiere di fumetto e basta sono sempre più rare: un peccato o una necessità?
"Già, sono sempre più integrate con giochi di ruolo, esibizioni di cosplayer. È una formula che funziona: si viene perché si è magari attratti da altro, ma alla fine ci si avvicina anche al fumetto".

Il cinema invece quanto aiuta?
"Il cinema dà visibilità ai personaggi, crea nuovo interesse nei loro confronti. Ci sono state trasposizioni importanti, penso ad esempio ai Fantastici 4 o all’Uomo Ragno. È inevitabile: non a caso il fumetto è fatto di immagini".

Conta più l’immagine o la parola?
"L’immagine. Il fumetto moderno tende a ridurre sempre più la parola. Quarant’anni fa c’erano molte didascalie, perfino ridondanti. Oggi al disegnatore è affidato il compito di tradurre con una sola immagine tutti quei dettagli che lo sceneggiatore offre in abbondanza, ma che non devono comparire nel prodotto finale. L’immagine deve essere accurata e chiara, sostituire il testo".

Detto questo, il fumetto è letteratura?
"Io penso di sì. Sono cresciuto leggendo fumetti: sono ricchi di poesia, cultura, insegnamenti morali. Gli sceneggiatori sono bravissimi, accompagnano le storie a informazioni di carattere storico culturale. Non hanno nulla da invidiare al libro. Anche se, come accade ai libri, anche i fumetti possono essere buoni o cattivi".

Quanto conta il collezionista nella sopravvivenza del fumetto?
"Meno male che c’è. È fondamentale. Quando si dice che il fumetto è di nicchia, si capisce quanto conti il collezionista. Io stesso ho molti fan che mi seguono. Perché il fumetto è anche contatto con il pubblico, fiere, confronto".

Come si decide di diventare disegnatore di fumetti?
"Era il mio sogno nel cassetto. Ho cominciato con i cartoni giapponesi, Goldrake e Gig Robot. Nella trasposizione in fumetto, questi personaggi perdevano i loro tratti orientali. Così mi sono adattato anch’io".

Il suo fumetto preferito?
"Ken Parker, Tex, Diabolik. Fra gli stranieri Batman".

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