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BERNAProcesso Eternit Italia, Stephan Schmidheiny si difende

20.04.14 - 18:54
"Facile dire oggi che già si sapeva allora, all'inizio degli anni Settanta, di tutti i rischi per la sicurezza. Non se ne sapeva proprio nulla"
Foto d'archivio (Keystone)
Processo Eternit Italia, Stephan Schmidheiny si difende
"Facile dire oggi che già si sapeva allora, all'inizio degli anni Settanta, di tutti i rischi per la sicurezza. Non se ne sapeva proprio nulla"

BERNA - Stephan Schmidheiny aspetta con serenità la sentenza finale nel maxiprocesso Eternit Italia per l'amianto, nel quale la Corte d'appello di Torino lo ha condannato l'anno scorso a 18 anni di carcere per disastro colposo. "Ci sono stati momenti in cui mi sono sentito davvero giù. Ma all'inizio del processo di secondo grado mi è diventata chiara l'assurdità" della vicenda, afferma l'industriale svizzero in pensione in una intervista pubblicata oggi dalla "NZZ am Sonntag", nella quale difende il suo operato.

"Il giudice mi ha paragonato a Hitler e il mio agire alla soluzione finale della questione ebraica. A quel momento ho capito di non poter far nulla con questo sistema", afferma Schmidheiny.

"Per me - si difende - quel che ho fatto all'epoca è sempre ancora il meglio che potessi fare quale imprenditore", ossia "uscire al più presto dalla lavorazione dell'amianto nonostante una grande insicurezza".

"È molto facile dire oggi - aggiunge - che già si sapeva allora, all'inizio degli anni Settanta, di tutti i rischi per la sicurezza. Non se ne sapeva proprio nulla": c'erano singole controverse teorie da parte dei medici. "Ciò nonostante, ho deciso e attuato l'uscita, molto prima che la lavorazione dell'amianto fosse vietata".

Il 12 febbraio 2012, il Tribunale di Torino ha condannato Schmidheiny, in quanto ex comproprietario della Eternit S.p.A con sede a Genova, a 16 anni di carcere e a risarcimenti milionari alle vittime dell'amianto negli stabilimenti di Cavagnolo (Torino) e Casale Monferrato (Alessandria), con una sentenza definita da più parti "storica" ed "esemplare".

Il 3 giugno 2013 la Corte d'appello del capoluogo piemontese ha rincarato la pena a 18 anni di carcere, cui si aggiungono 89 milioni di euro di risarcimento alle parti civili: 932 nomi di malati ed eredi di vittime sono stati letti in aula. La corte ha riconosciuto lo svizzero colpevole di disastro ambientale doloso anche per gli stabilimenti di Rubiera in Emilia e Bagnoli in Campania.

La difesa ha presentato ricorso alla Corte di cassazione, definendo Schmidheiny un "pioniere dell'uscita dalla lavorazione dell'amianto". La massima autorità giudiziaria italiana si pronuncerà verosimilmente ancora quest'anno, prevede l'interessato.

ats

 

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