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ASCONAL’altalena di Herta Müller, Nobel per non impazzire

10.04.14 - 09:03
Un’ospite illustre per l’inaugurazione della rassegna "Monte Verità: il demone dell’utopia", stasera al teatro Gatto di Ascona.
Foto Keystone
L’altalena di Herta Müller, Nobel per non impazzire
Un’ospite illustre per l’inaugurazione della rassegna "Monte Verità: il demone dell’utopia", stasera al teatro Gatto di Ascona.

ASCONA - Che quello di stasera sia un evento, s’intuisce davanti alla biografia del personaggio. Herta Müller non è solo il Premio Nobel per la letteratura nel 2009. È una donna provata dalle brutture della vita e degli uomini, dalla dittatura di Ceausescu in Romania, figlia di una madre deportata in un campo di lavoro, di un padre alcolizzato e collaboratore del Nazismo: quanto basta per tacere, perché "a rispondere alle domande altrui mi sembrerebbe di essere tornata nel bel mezzo di un interrogatorio della polizia segreta".

Questa sera, ore 19.30, sarà però al teatro Gatto di Ascona, a presentare un racconto del suo ultimo romanzo “L’altalena del respiro” e a inaugurare la rassegna “Monte Verità: il demone dell’utopia” . Un incontro dal titolo quasi respingente, “Fazzoletto e topi”, certo allusivo di una vita dura e trasformata in capolavori della narrativa e della poesia. L’unico luogo dove la Müller riesca a parlare, anzi dove parlare è doveroso: "Non potevo rimanere in silenzio davanti all’orrore", disse all’indomani dell’assegnazione del premio, in una singolare intervista video rilasciata all’Accademia di Svezia dove tentava di spiegare, in ventinove minuti appena, le ragioni che un giorno l’avevano spinta a scrivere, "il più tardi possibile", perché delle parole bisogna aver paura. "Si può parlare dei fatti, ma del loro impatto emotivo no. Per esprimere quello serve la scrittura". Opere gravate da una dicotomia, storie e sfondi rumeni narrati però in lingua tedesca, che sarebbero state tradotte in cinquanta lingue e celebrate per "la capacità rara di descrivere il paesaggio dei diseredati", talora censurate dal regime prima della fuga in Germania, nel 1987. "Per due settimane – ricorda Herta, classe 1953, cresciuta fra una minoranza tedesca di contadini della campagna rumena – gli occhi mi fecero male. Non ero abituata a tante luci e colori. In Romania c’era solo grigio, grigio, grigio".

 

Oggi vive a Berlino con il marito, come se la fama non l’avesse raggiunta. "Il Nobel non cambierà nulla – aveva annunciato quasi subito – Le tracce del mio passato sono dentro di me, sotto forma di danno. Sono stata costretta a stare in una società che non è normale e a vivere come se lo fosse. Neppure il Nobel può cancellare tutto questo. Sarebbe bello, ma niente può riuscirci. Ciò che posso fare è riconciliarmi con la mia storia personale attraverso la letteratura". Scrivere "per non impazzire": il primo libro nel 1982, per scongiurare il ripetersi di qualcosa che puntualmente accade. "Le dittature si rinnovano, perché le società sono così deboli?", domanda, poi confessa: "Ho anche pensato al suicidio. Ma dopo le minacce, ho capito che non potevo. Avrei fatto un servizio al regime. Quando sei nemico dello Stato, non puoi permetterti il lusso di morire".

 

 

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