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ATTUALITÀ SETTIMANALEIl problema del consumatore americano

18.03.14 - 12:01
La crescita economica americana sta di nuovo tradendo le attese
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Il problema del consumatore americano
La crescita economica americana sta di nuovo tradendo le attese

La crescita economica americana sta di nuovo tradendo le attese (notevole la serie negativa sui “data surprises” da inizio anno). Questo è un motivo rilevante per la deludente performance azionaria YTD. Al riguardo, osserviamo un problema congiunturale e uno strutturale. Il primo ha a che fare con le scorte di magazzino, il secondo (tema non nuovo) con la debolezza strutturale – rispetto a standard storici – del consumatore USA.

 

L’accumulo di scorte di magazzino – componente di domanda importante entro il totale del PIL - ha contribuito per 1.8 punti percentuali alla crescita economica nella seconda metà del 2013, e ciò ha causato un probabile accumulo “involontario” di scorte soprattutto nel settore auto. Tale eccesso dovrà essere smaltito tra il T1 e T2, con conseguenze negative su domanda e PIL. In effetti, la previsione di consensus sulla crescita economica del T1 si è ridotta, da un 2.6% annualizzato a inizio gennaio all’odierno 1.9%. Tale riduzione ha a che fare anche con sorprese negative da mercati esportativi importanti (Cina) e con l’aumento nel rischio geo-politico (Est Europa).

 

Il problema fondamentale, comunque, dato il suo peso preponderante nel PIL, è l’attuale incapacità della spesa per consumi nel fungere da traino per l’output nazionale.

 

Nonostante si presuma che il T2 possa beneficiare dell’attivazione di domanda repressa (pent up demand) per consumi, causata dal cattivo tempo atmosferico nel T1, la debolezza strutturale del mercato del lavoro (già esaminata in questa sede) rimane un tallone di Achille dei redditi disponibili, attualmente in “crescita zero” a/a e, quindi, della spesa per consumi. Anche il dato più recente sulle vendite al dettaglio – 1.5% a/a per febbraio – diventa “crescita zero” in termini reali visto che l’inflazione al consumo viaggia attorno a 1.5%.

 

Abbiamo quindi una situazione di staticità sia per i redditi reali disponibili che per le vendite reali al dettaglio. Altri indicatori, meno noti ma ugualmente anemici sul consumo, sono quelli presentati nei grafici. Il primo è un indice di traffico presso i punti-vendita calcolato da Shop Trak, e presenta cali a/a da diverso tempo. Il secondo, ugualmente anemico, è l’indicatore settimanale delle vendite a dettagli stimato da Goldman Sachs.

 

Inoltre, a livello aneddotico, Bloomberg ci informa che le notizie circa il settore “retail” sono oggi dominate da storie di licenziamenti, bassi salari e soprattutto chiusure progressive di “outlets” fisici. In parte, a ciò fa da contraltare un aumento “compensatore” delle vendite al consumo via Internet, ma va notato che questo non costituisce un gioco a somma-zero per l’economia nazionale. Innanzi tutto, l’accelerazione delle “web-sales” non compensa completamente, ma, cosa più importante, il reddito “indotto” legato a strutture fisiche di vendita è maggiore di quello legato alle vendite via “web”. Infatti, le strutture fisiche hanno contenuto occupazionale maggiore. Inoltre, le strutture di vendita fisiche pagano affitti e tasse locali, legati alla ubicazione negli “shopping malls”. Infine, caratteristica cruciale delle visite ai centri commerciali – non condivisa dal web-shopping – è che il consumatore nel mall è indotto a spese accessorie addizionali, tipo la canonica visita al fast-food e, specialmente, la probabilità che la visione delle vetrine lo induca a ulteriori acquisti, originariamente non programmati.

 

In definitiva, l’evidenza statistica punta il riflettore, dal punto di vista della spesa, sul consumatore come ragione principale per la carente crescita dell’economia USA. (Carente nel senso che non riesce a riassorbire la disoccupazione effettiva, non quella ufficialmente misurata, creata dalla Great Recession.) Al momento, vista anche la recente debolezza del settore edilizio (crollo dell’indice NAHB, in parte dovuto al maltempo) e quella della domanda per export americane da parte di importanti mercati emergenti quali i BRICs, e l’accumulo eccessivo di scorte, l’unica componente di domanda USA vivace sembra essere la spesa pubblica, soprattutto a livello statale e delle municipalità.

 

Non vorremmo peccare di pessimismo, ma ricordiamo che, dal dopoguerra in poi, ogni recessione USA è stata preceduta da crescita sotto il 2% a/a nel reddito personale disponibile reale e nella variabile da esso guidata, cioè il consumo reale. Entrambe queste variabili, da qualche mese, si stanno muovendo in modo preoccupante.

 

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