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ATTUALITÀEUR/CHF a 1.20: fino a quando?

01.10.13 - 10:57
Vi sono almeno quattro elementi per credere che questa parentesi di politica monetaria sia a termine
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EUR/CHF a 1.20: fino a quando?
Vi sono almeno quattro elementi per credere che questa parentesi di politica monetaria sia a termine

LUGANO - La BNS persegue, dal settembre 2011, la strategia di “stabilizzare” il cambio EUR/CHF a un livello di almeno 1.20. Le finalità economiche di tale politica monetaria sono ormai note, e effettivamente la banca centrale - soprattutto quest’anno - è riuscita a centrare il suo obiettivo senza dover rischiare acquisti ingenti di valuta straniera. Ciò di per sé è benvenuto in quanto, degli aumenti continui delle poste valutarie a bilancio rendono lo stesso sempre più rischioso e volatile (rapidi passaggi da guadagni ingenti a perdite). La domanda che molti, investitori ma non solo, si pongono è (se e) quando tale pratica monetaria sarà accantonata, permettendo così alla BNS di tornare a una politica monetaria “tradizionale” e in linea con la storia svizzera (vale a dire il controllo della moneta, in modo da garantire inflazione bassa e stabile).

Vi sono almeno quattro elementi per credere che questa (lunga) parentesi di politica monetaria “eterodossa” sia, effettivamente, a termine.

•La quasi fissità del tasso di cambio implica che, specialmente in periodi di forti afflussi di capitali esteri, la BNS perde il controllo della liquidità interna - non è un caso la recente accelerazione della moneta M3 ad un tasso (notevole) del 10.4%;

•A causa del vincolo del tasso d’interesse a zero, necessario per minimizzare la domanda (esterna) di franchi, la stessa banca centrale teme di creare le pre-condizioni per pericolose bolle speculative (tipo immobiliare);

•Tale pratica valutaria, oltre a far crescere a dismisura il bilancio della BNS (pari a 83% del PIL, ben oltre il 22% della Fed), lo rende come detto molto sensibile a variazioni di tassi di cambio e prezzi delle asset in cui le riserve sono investite. E questo non è prudente…

•Se mantenuto ad infinitum, l’obiettivo del cambio quasi-fisso contro euro, assoggetterebbe la Svizzera ad un regime UEM, delegando largamente la politica monetaria nazionale all’Europa. Tale fattispecie ha ovvie, e importanti, implicazioni politiche.

Guardando al futuro, è ovviamente impossibile prevedere quando il regime del currency management verrà abbandonato. Si può invece ragionevolmente assumere che la data “di fine” non sia troppo lontana (trimestri, piuttosto che anni?), e che l’eventuale decisione di tornare “all’antico” sia condizionata al verificarsi di una o più delle seguenti condizioni:

•La crescita economica svizzera dovrebbe tornare a un trend di almeno il 2% annuo, in condizioni normali (con revival implicito per le fortune del settore export, che indubbiamente ha sofferto – cali di profitto piuttosto che quote di mercato – nel periodo del franco forte). La crescita economica è recentemente stata “soddisfacente” - quest’anno dovrebbe risultare non inferiore all’1.5%;

•Un accelerazione dei prezzi delle case in Svizzera. Attualmente tali prezzi crescono al 5.5% a/a, un tasso elevato se si tiene presente lo stato “deflazionistico” per i restanti prezzi (al consumo);

•La fine, o almeno un calo notevole, delle tensioni di mercato (del debito pubblico) sulle economie UEM termino. Ciò potrebbe essere considerato “acquisito” quando lo spread, ad esempio tra BTP italiani e Bund tedeschi, sarà “stabilmente” sotto i 100 pb (oggi, circa 250 pb).

Le prime due condizioni sono di natura domestica e, quindi, più facilmente controllabili/prevedibili. Stando alla teoria monetaria è gioco forza che, più a lungo dura il “regime a cambio fisso” senza che calino gli afflussi strutturali di capitali in Svizzera, più è probabile che la crescita economica aumenterà e, soprattutto, che accelerino i prezzi delle case. Quest’ultimo – il potenziale per bolle immobiliari - è probabilmente il fattore più seguito (temuto) dalla BNS, come provano le minute dei recenti meeting di politica monetaria.

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