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ATTUALITÀQuali prospettive per il Venezuela?

30.04.13 - 09:17
Giorgio Radaelli, Chief Global Strategist BSI
Foto d'archivio (Keystone)
Quali prospettive per il Venezuela?
Giorgio Radaelli, Chief Global Strategist BSI

Il Venezuela è il Paese con le maggiori riserve petrolifere al mondo. Ciononostante, il suo livello di sviluppo è ritenuto insoddisfacente, in quanto, durante l’era Chavez (1999/2013), il potenziale garantito dall’oro nero è stato largamente dissipato. Le recenti elezioni, successive alla scomparsa del “comandante”, hanno prodotto un risultato non rassicurante. Se da un lato, questo risultato, mostra come gran parte della popolazione voglia adottare politiche più “aperte”, dall’altro esso mantiene una situazione in cui il Chavismo rimane in sella, sia pur con meno potere di prima. Ciò sta accrescendo il disordine sociale e questo non favorisce, per il momento, a quel miglioramento che molti (investitori, ma non solo) speravano.

A due settimane dalle elezioni, vinte di misura (200 mila voti) dal delfino di Chavez, Nicolas Maduro, la situazione è molto tesa, in quanto (comprensibilmente) il capo dell’opposizione Hernrique Capriles richiede un “auditing” sulla validità del voto – in questo fiancheggiato da osservatori internazionali.

Per il momento Maduro ha risposto “picche”. Addirittura pare che molte delle schede di voto che andrebbero controllate (1.5 milioni) siano andate “perse”. Inoltre, lo stesso Maduro impedisce all’opposizione di parlare in parlamento, e facendo due nomine abbastanza “grigie”: il ministro delle finanze Merentes e il governatore della banca centrale Betancourt. Quest’ultima, soprattutto, nota simpatizzante del precedente (marxista doc) ministro delle finanze, Jorge Giordani, non dà garanzie d’indipendenza ad una banca centrale già coartata a monetizzare il deficit pubblico, e le cui riserve ufficiali sono state, in passato, preda del governo per creare fondi “discrezionali”. Infine, lo stesso “governo” ha detto, per bocca del ministro della giustizia, che starebbe preparando una cella per ospitare Capriles…

Quindi, non sorprende che l’unico indicatore “affidabile” di mercato nel Paese, lo spread di rendimento sui bond denominati in dollari, rimanga elevato ed in aumento. Anche l’inflazione è in aumento e, dopo la recente (e prospettica) svalutazione del VEB (Venezuelan Bolivar) sembra destinata a raggiungere almeno il 30% (NB: in uno scenario globale “deflazionistico”).

Il sottosfruttamento del petrolio riflette principalmente due fattori. Prima di tutto le “regalie” fatte a Cuba, per cui l’oro nero viene venduto all’Avana a prezzo di favore, in cambio del cui favore Cuba di fatto “controlla” la sicurezza e i servizi segreti a Caracas.  Il secondo fattore sono le infrastrutture per lo sfruttamento dei giacimenti, le quali non sono assolutamente all’altezza, a causa del progressivo ostracismo perpetrato da Chavez nei confronti del capitale e know-how stranieri (le uniche aziende autorizzate ad operare nel settore sono vietnamite e cinesi).

Chavez, avendo de facto nazionalizzato l’economia e abolito i liberi prezzi di mercato, oltre che “asfissiato” il mercato dei cambi, ha col tempo causato scarsità di vari beni e servizi, in un’economia che fatica ad importare a causa della mancanza di dollari. Al mercato nero, USD/VEB quota a quasi 25, mentre il tasso ufficiale è solo 6.3. La netta sopravalutazione del VEB inficia le statistiche internazionali, ad esempio quelle sul reddito pro-capite venezuelano che, per quanto anche formalmente deficitario (circa USD 13.000) è sostanzialmente ben inferiore al dato “ufficiale”.

Fino a quando il Paese non adotterà un approccio di politica economica più liberista, rivedrà i suoi rapporti con Cuba e, quindi, riuscirà a sfruttare appieno le proprie risorse, l’economia rimarrà molto carente come pure i locali mercati finanziari. Ad oggi, l’investimento in borsa (quotata in VEB) è sconsigliabile, oltre che praticamente precluso ad investitori stranieri, mentre sul lato reddito fisso i pochi titoli denominati in dollari sono tradizionalmente oggetto di “raid” orientati a profitti speculativi spesso di breve termine. Lo spread rimarrà elevato - non necessariamente perché lo stato Venezuela sia intrinsecamente incapace di generare le risorse per onorare il debito, ma piuttosto perché non vi sono garanzie sulla volontà (piuttosto che capacità) di un governo chavista ad onorare il debito.

Nel breve termine, se la vittoria elettorale “ambigua” di Maduro lascia la speranza di un futuro cambiamento, nell’immediato la realtà rimane quella di un’economia mal gestita, in cui i rischi di instabilità sono molto elevati.

 

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