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ATTUALITÀQ al quadrato in Giappone

09.04.13 - 10:36
Ecco le nuove strategie
Foto Keystone
Q al quadrato in Giappone
Ecco le nuove strategie

Dalla fine del 2012, la borsa giapponese (Topix) ha guadagnato circa il 24%, mentre il cambio (indice ponderato) dello yen ha perso il 9%. Le recenti performance di borsa e valutaria mostrano plasticamente quanto possano essere potenti (nell’immediato) le variazioni sensibili della politica monetaria – effetti sulle variabili nominali piuttosto che reali. Per il lungo termine, i “policy makers” (nipponici) sperano ovviamente che gli effetti di mercato vadano ad influenzare i comportamenti economici nella società e, quindi, le variabili reali quali la crescita economica.

La settimana passata ha visto la Bank of Japan formalizzare, in modo piuttosto eclatante, le misure di politica monetaria pensate per fare uscire il Giappone da una spirale deflazionistica quindicennale e quindi, si spera, aumentarne anche il trend di crescita del PIL reale. In sintesi, queste sono le misure annunciate dalla banca centrale:

 

• Un aumento significativo degli acquisti sul mercato di titoli del debito pubblico, abbandonando la riluttanza ad acquistarne di lunga scadenza, sino a 40 anni. In pratica, l’obiettivo è una spinta agli interventi non solo quantitativa, ma anche qualitativa - tramite l’aumento della “duration” media di portafoglio, dagli attuali tre anni a circa sette.

• Un aumento significativo degli acquisti sul mercato di altre attività finanziarie, relazionabili all’azionario e all’immobiliare.

• Di conseguenza, produrre un raddoppio della base monetaria nel giro di un paio di anni.

• Esplicitare in modo molto enfatico che l’obiettivo inflazionistico è un tasso di crescita dei prezzi (CPI) del 2% a/a, entro il 2014.

 

I mercati hanno reagito con forza – qualcuno ha chiamato l’iniziativa della BoJ (Bank of Japan) “Q al quadrato” piuttosto che QE - deprezzando lo yen e comprando le azioni, il che suggerisce un’elevata credibilità da parte delle autorità; un prerequisito necessario per creare delle aspettative di maggior inflazione sul medio periodo. Infatti il ragionamento alla base della strategia è che un aumento deciso delle aspettative sui prezzi (motivate da crescita abnorme della moneta, deprezzamento del cambio e conseguente aumento dei prezzi all’import) dovrebbe causare un anticipo della spesa per i beni di consumo, che diventerebbero più a buon mercato oggi (prezzi bassi) piuttosto che “domani”. A nostro parere (e non siamo i soli), tale effetto è piuttosto plausibile su larghe fasce di beni durevoli, meno su altre componenti (maggioritarie?) della spesa per consumi. Il motivo è che i consumatori giapponesi sono forti creditori finanziari (a fronte di uno stato debitore) e, di conseguenza, una maggiore inflazione attesa ridurrebbe il valore reale dei loro risparmi, creando quindi un incentivo a risparmiare di più “oggi”, a discapito del consumo. Ecco perché, l’effetto finale sulla domanda reale rimane molto incerto, e potrebbe addirittura risultare negativo – vista la dipendenza dalle suddette tensioni (opposte) sulla propensione al risparmio.

 

Quindi vi è un rischio significativo che il piano possa generare, sul medio termine, una maggiore inflazione piuttosto che crescita reale dell’economia (va però detto che uno yen più competitivo dovrebbe aiutare il PIL perlomeno tramite il canale delle esportazioni.) Il punto è che, sul medio e lungo termine, la crescita economica (potenziale) dipende forse più da manovre accorte sul lato-offerta dell’economia (“supply side policies”) che da shock di politica monetaria. Ad onore del vero, il programma economico del Primo Ministro Abe parla di “tre frecce”: lo shock monetario, la maggiore spesa pubblica e le misure strutturali di de-regulation. Tuttavia ci pare che il governo, i cui favori dipendono molto dalle lobbies che beneficiano dello status quo di “supply side”, sia più credibile in tema di promesse di politica monetaria (ora che la BoJ è più “simpatetica”) e di spesa pubblica, che in tema di riforme strutturali dell’offerta.

 

Sia quel che sia… Per gli investitori rimane un’evidenza chiara che, con le recenti mosse giapponesi, si intensifica su scala globale l’attività di “money printing”, le svalutazioni competitive (“currency war”) e, quindi, i rischi iper-inflazionistici di lungo termine (che potrebbero non essere “eterno”). Uno scenario che farebbe molto male a risparmiatori e creditori; certamente meno ai governi e a fasce del settore bancario globale.

 

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