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ATTUALITÀLa fine di un "bear market"?

19.02.13 - 07:30
Il ciclo secolare dell'"orso", che ormai dura da 13 anni, potrebbe essere al termine
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La fine di un "bear market"?
Il ciclo secolare dell'"orso", che ormai dura da 13 anni, potrebbe essere al termine

La borsa americana (S&P500) si sta avvicinando al picco storico di 1565.15 raggiunto il 9 ottobre 2007; ciò autorizza a sperare che il ciclo secolare “orso”, che ormai dura da 13 anni, sia sul finire. Che si tratti di un lungo ciclo negativo è evidenziato dal fatto che, avendo oscillato tra il citato massimo ed un minimo a 676.53 (9 marzo 2009), il valore della borsa USA sia oggi solo poco più alto (4.7%) del livello di inizio 2000.

Non vi è definizione canonica di ciclo secolare di borsa, a differenza che per il breve termine laddove si parla di ciclo bull/bear ogni qualvolta si registra una variazione di prezzo assoluta del 20%. Un recente studio di Fidelity suggerisce che (per data definizione di ciclo azionario), un periodo “bull” rende ritorni annuali del 18% mente quello “bear” rende solo l’1% annuo. Storicamente, abbiamo avuto (negli USA) tre periodi, oltre l’attuale, di ciclo “orso”. Il primo va dal 1902 al 1921, il secondo dal 1929 al 1942 ed il terzo dal 1968 al 1982. Questi periodi hanno alcune caratteristiche in comune:

    • durata di almeno un decennio
    • ritorno annuo mediamente negativo, in termini reali
    • andamento declinante nel rapporto di P/E (prezzo/utile)

In contrasto, durante un “bull cycle” secolare il rapporto P/E tende ad aumentare. Ad esempio, nel caso che va dal 1982 al 2000 il rapporto P/E sull’S&P500 aumentò da un minimo di 7.7 ad un picco di 28.6. Fortunatamente, la recente dinamica del P/E (vedi grafico) ispira un certo ottimismo. Attualmente, il rapporto è molto vicino a quota 15, a confronto con un minimo di circa 10 nel 2009. Ciò detto, il P/E rimane attualmente sotto la sua media di lungo termine. Questo fatto può essere visto sia come bicchiere mezzo pieno (abbiamo ancora margini di miglioramento) che mezzo vuoto (non vi è conferma che il ciclo “bear” sia terminato, in quanto gli investitori non sono disposti a “pagare abbastanza” per gli utili).

Nostra impressione è che il picco storico di borsa sia ormai troppo vicino per non essere testato, nei prossimi mesi. Se questo lascia sperare in una finestra temporale con ritorni ulteriormente positivi, non è di per sé garanzia che il ciclo “bear” stia per chiudersi. Lasciando da parte le eventualità di shock esogeni (positivi o negativi), per loro natura imprevedibili, ci pare che il termine o meno di questo ciclo sarà decretata dall’esito finale, in termini di crescita economica e degli utili, delle politiche eterodosse di “quantitative easing” (QE) intraprese dalla Fed ed altre banche centrali, e dal tipo di eventuale “exit strategy”.

Chi spera in un mercato in nuova ascesa secolare deve credere che alla fin fine il QE riuscirà a stimolare crescita del PIL nominale oltre il 5% su base annua. In caso contrario saremmo a rischio di ritorno recessivo se non depressione (deflazione). Inoltre, bisogna anche sperare che, una volta raggiunta detta crescita nominale oltre il 5%, la Fed non attui una “exit strategy” troppo violenta – con veloci aumenti dei tassi a breve e/o pesanti vendite di Treasuries e MBS sul mercato. Ovviamente, economisti critici farebbero notare che, più graduale e soft sarà la “exit strategy”, maggiore il rischio di rapida ascesa dell’inflazione, se non iper-inflazione. Si sa, comunque, che un “modicum” di inflazione alla borsa (asset “reale”) male non fa. Tuttavia, se il controllo dei prezzi dovesse sfuggire di mano anche le azioni rischierebbero di non mantenere il valore reale dell’investimento. Ma questa è un’altra storia….

Tornando all’attualità, settimana passata è stata caratterizzata da dati deludenti sulla crescita del PIL reale in Germania, Francia (UEM, che non vede crescita economica da cinque trimestri) e Giappone - tutte aree di nuovo in recessione. Il mercato, sostenuto dalla nota valanga di liquidità, sembra in grado di assorbire tali sviluppi del resto relativamente scontati. Rimane però cruciale, sia per la borsa che per la Fed, che il tasso di interesse a lunga (Treasury yield) non aumenti troppo oltre l’attuale resistenza del 2%, o in caso contrario i timori di rallentamento economico aumenterebbero con danno per la borsa. Va ricordato al riguardo che l’economia USA ha registrato crescita zero nel T4 e si avvia a crescita ancora bassa (consensus: 1.5% saar) nel T1, in un periodo caratterizzato da andamento molto anemico di utili e margini aziendali.

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