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ATTUALITÀSotto-performance delle commodities, quali le ragioni?

12.02.13 - 10:55
Materia prime contro azioni secondo BSI
keystone (archivio)
Sotto-performance delle commodities, quali le ragioni?
Materia prime contro azioni secondo BSI

Recentemente abbiamo argomentato che uno dei punti di forza per le “attività rischiose”, in contrasto ad un background con crescita anemica e incertezze “politiche”, rimane la spinta alla liquidità globale ancora mantenuta da iniziative di QE (“quantitative easing”) delle maggiori banche centrali. Tuttavia, negli ultimi tre mesi si è evidenziata una spaccatura all’interno delle suddette “risky assets”, con la borsa globale in netta sovra-performance rispetto alle materie prime. Da metà novembre, a fronte di un guadagno del 12% nell’indice di borsa MSCI globale (valuta locale), quello delle materie prime (CRB) ha guadagnato a malapena il 2%. Quali i motivi di questo iato, e quanto potrà durare?

La sotto-performance delle commodities post-novembre si evidenzia anche con un calo della correlazione con le azioni (grafico), il che normalmente si palesa, tra asset rischiose, quando diminuisce l’avversione al rischio degli investitori. Quindi, una prima risposta potrebbe essere che, per vedere un “ritorno” delle materie prime, dovremmo avere un ritorno della “risk aversion”. Ciò detto, a livello fondamentale vediamo anche altri fattori in gioco.

    • La crescita economica globale rimane anemica; recentemente Banca Mondiale e FMI hanno ridotto le previsioni per il 2013.
    • Il ruolo della Cina a sostegno della domanda di commodities sta probabilmente calando in modo strutturale. Ci riferiamo alla dichiarata intenzione “politica” di favorire un modello di crescita più orientato al consumo che all’investimento fisso. Soprattutto laddove quest’ultimo riguarda l’edilizia, è ovvio che l’implicazione per la domanda di materie prime è marginalmente negativa.
    • La vetustà del ciclo delle materie prime. Il mercato “toro” ha ormai una quindicina d’anni e, col passare del tempo, la risposta economica a prezzi elevati vede una reazione al rialzo dell’offerta. Ciò è visibile tramite il fenomeno di “shale fracking” nel comparto energia, e alla luce dei surplus di magazzino riportati per metalli di base (rame, acciaio).

Siccome i fattori citati sono a carattere strutturale, per essere “bullish” sulle materie prime necessitiamo di fattori nuovi e meno sistematici (triggers). Il più facilmente immaginabile, da parte nostra, è un significativo aumento delle aspettative di inflazione - per i “noti” motivi. Ciò favorirebbe soprattutto, ma non solo, il gruppo dei metalli preziosi. In alternativa, come detto, un ritorno dell’avversione al rischio. Al riguardo, non volendo essere forieri di sventure, è plausibile ritenere che le problematiche UEM-debito-politica possano, prima della fine dell’anno, riproposi all’attenzione. Ciò detto, nel breve, a parte forse le elezioni italiane, soprattutto sul fronte inflazione è difficile vedere come le commodities possano avere un netto cambio di marcia, anche se ciò non implica che debbano per forza essere l’asset class peggio performante. (I bond nominali potrebbero soffrire di più, in una prosecuzione-intensificazione dello scenario di risk-taking con crescita globale in miglioramento).

In tema di economia reale USA notiamo che, a seguito di crescita-zero patita nel T4, anche le attese per il T1 sono piuttosto basse – consensus attualmente a 1.5% saar. Il problema maggiore è quale sarà l’effetto sul consumo, nella prima parte dell’anno, dell’aumento nella “payroll tax”, che toglierà USD 200 (1.6%) al reddito personale disponibile. Inoltre, vi sono gli altri noti “impedimenti” di natura fiscale che faranno da spauracchio, sempre nella prima metà del 2013. In particolare i tagli automatici della spesa pubblica in agenda per marzo. Non è quindi sorprendente che l’andamento della fiducia dei consumatori (Conference Board) sia stato recentemente negativo, in sintonia col calo, per sei settimane di fila, nel Bloomberg Comfort Index. Difficilmente i consumatori americani troveranno sollievo nel prestito bancario; la recente accelerazione in questa variabile è largamente spiegata dalla domanda di prestiti per studenti, il cui “default rate” è tra l’altro in aumento. Gli unici “sweeteners” per il consumatore sono il livello veramente basso dei tassi sui mutui, comunque ancora difficili da ottenere per chi (80% dei cittadini) non ha condizione creditoria “pristine”, e la vetusta età dei beni durevoli delle famiglie USA – il che costituisce indubbio stock di domanda repressa (“pent up demand”).

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