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SVIZZERADivieti di pubblicità: proibizionismi eccessivi che fan fallire l'economia o semplice protezione dei cittadini?

27.09.12 - 07:00
Questo scritto non chiede una diminuzione di un'attività che certamente crea "ricchezza", ma si schiera nettamente dalla parte di chi sostiene che non c'è nulla di male nel fissare dei limiti e delle regole ben chiare in un settore. Soprattutto se quel settore ha la capacità di 'impastare' le menti delle persone, con delle campagne che, grazie a tecniche sempre più evolute, riescono a far leva sull'inconscio delle persone.
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Divieti di pubblicità: proibizionismi eccessivi che fan fallire l'economia o semplice protezione dei cittadini?
Questo scritto non chiede una diminuzione di un'attività che certamente crea "ricchezza", ma si schiera nettamente dalla parte di chi sostiene che non c'è nulla di male nel fissare dei limiti e delle regole ben chiare in un settore. Soprattutto se quel settore ha la capacità di 'impastare' le menti delle persone, con delle campagne che, grazie a tecniche sempre più evolute, riescono a far leva sull'inconscio delle persone.
Questo testo si ispira all’articolo/intervista* in cui Filippo Lombardi ha cercato di difendere il business della pubblicità da un proibizionismo eccessivo. Nello scritto, il Consigliere agli Stati ha dicchiarato che la pubblicità in Svizzera è attanagliata dalla morsa di un branco di proibizionisti… che portano l’economia al fallimento -!-, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro.

Partiamo dallo slogan della "campagna di sensibilizzazione" proposta da Pubblicità Svizzera, di cui il Signor Lombardi è il presidente: "I divieti pubblicitari fanno male a tutti". Per sostenere questo motto, l'Onorevole ci ricorda che la pubblicità aiuta a rafforzare il marchio delle aziende e a far funzionare le vendite. E fin qui, tutto bene -tranne il triste fatto che sempre più grandi marchi si rafforzano tramite operazioni di marketing, e non tramite le bontà del prodotto, un po’ come i partiti-. Ma poi il Signor Lombardi va avanti cercando di convincere i lettori che i media possano rimanere indipendenti e liberi da censura grazie al business della pubblicità (e che, quindi, non andrebbe ostacolato). Che gli organi di informazione si garantiscono un’indipendenza economica tramite la pubblicità è un fatto, ma é assurdo asserire che ciò porti anche all’indipendenza di pensiero. Ipotiziamo che un quotidiano usufruisca di forti entrate grazie alle inserzioni di una catena di supermercati (o una qualsiasi attività di commercio) che diventerebbe, di fatto, uno dei più grossi finanziatori della testata. Quindi, una volta instaurata questa dipendenza, come si potrà pubblicare articoli ed inchieste sulle precarie condizioni di lavoro dei dipendenti di quella ditta? O su qualsiasi altro fatto di interesse pubblico che potrebbe incidere negativamente sul valore del marchio di quella azienda? Credo fermamente che il rischio di perdere una grossa fetta di entrate nel giro di pochi giorni, farebbe rabbrividire la maggior parte dei direttori editoriali ticinesi.
 
In seguito, il presidente di Pubblicità Svizzera spiega che nella nostra Nazione c’è troppo proibizionismo e che altri Paesi godono di maggiore libertà in campo pubblicitario. Non capisco perché mettere tanta foga nel tentativo di arginare alcuni interventi da parte dello Stato! Interventi che giudico più che considerabili, sempre che siano nell’ottica di far si che i propri cittadini non siano bombardati da messaggi che spingono ad attività non salutari (per il corpo o la mente). È quantomeno particolare che Filippo Lombardi, uno degli esponenti di spicco del movimento democristiano, creda che sia sbagliato regolamentare la pubblicità di prodotti o servizi che minano alle fondamenta della morale cattolica. Come il rimediare all’insoddisfazione dello spirito tramite un consumo ingordo ed eccessivo (magari indebitandosi tramite il microcredito), o sperperare parti del bilancio familiare nel gioco d’azzardo, o inquinare un pianeta già allo stremo delle proprie forze, … . E riesco a spiegarmi questa presa di posizione soltanto tramite i conflitti di interesse, conflitti in cui è facile inciampare quando si portano avanti una carriera politica ed una imprenditoriale allo stesso tempo. 
E poi vorrei capire a quali Paesi si riferisce il Signor Lombardi quando parla di maggiori libertà. Mi immagino dei Paesi che ancora non hanno delle vere e proprie leggi per la tutela del consumatore. O forse dei paesi in cui il benessere dei cittadini non appare mai fra i temi politici?
 
Personalmente, trovo che in Svizzera siamo già bersaglio di numerosi strumenti di promozione; spesso invasivi, fastidiosi e, a volte, dannosi per l’ambiente. La pubblicità è una presenza costante della nostra vita e colpisce la gran parte delle nostre attività. I centri abitati sono tappezzati da immagini –a volte ingannevoli- che tendono a spiegarci cosa votare, cosa mangiare, dove andare in vacanza, come vestire o cosa guidare. Questo scritto non chiede una diminuzione di un’attività che certamente crea "ricchezza", ma si schiera nettamente dalla parte di chi sostiene che non c’è nulla di male nel fissare dei limiti e delle regole ben chiare in un settore. Soprattutto se quel settore ha la capacità di ‘impastare’ le menti delle persone, con delle campagne che, grazie a tecniche sempre più evolute, riescono a far leva sull’inconscio delle persone. Normal0falsefalsefalseITJAX-NONE 
 
Lombardi conclude la sua difesa affermando che "(…) Ogni individuo è in grado di scegliere, o ha comunque una famiglia in grado di educarlo. Non si può pensare che vietare la pubblicità di un determinato prodotto risolva i problemi della società".

E concludo pure io, dicendo che questo è un ottimo esempio di ‘pubblicità fuorviante’, con tanto di messaggio subliminale: –Non lamentatevi della pubblicità, siate dei buoni genitori!-.
Come si può affermare, con tanta leggerezza, che le famiglie si devono prender la briga di interpretare i messaggi pubblicitari per i propri figli? E, francamente, quali possibilità di successo si hanno nel convincere un minorenne a non seguire ciò che viene continuamente proposto ai suoi occhi come allettante, rispettabile e divertente?

È certo che non si risolve completamente un problema ponendo un divieto, ma è pura utopia credere che la totalità della popolazione sia in grado di vedere/intendere cosa stia effettivamente dietro ad uno slogan o un’immagine di propaganda. 
 
 
 

 

* "Basta divieti pubblicitari, così fate fallire l'economia", apparso il 18 settembre 2012 su tio.ch, firmato PM.

 

 

 

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