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RACCONTI D'ESTATEQuella prodezza al campo San Giorgio

23.08.12 - 12:00
di Mauro Stanga
Keystone
Quella prodezza al campo San Giorgio
di Mauro Stanga

Il sabato pomeriggio, quando il Morbio giocava in casa, noi ragazzini eravamo soliti sciamare su sgangherate biciclette verso il  vecchio campo San Giorgio. Ad alcuni nostri coetanei, i genitori vietavano di avvicinarsi al campo in quei pomeriggi, nel goffo tentativo di preservarli dal linguaggio effettivamente ardito in uso fra gli spettatori abituali ed ospiti. Un grave errore, perché noi lì abbiamo vissuto momenti indimenticabili. Di uno in particolare custodisco sensazioni intense e nitidissime.

Prima metà degli anni ’80: Morbio contro Non-Ricordo-Più-Chi. Il portiere Becchio, dopo aver cercato inutilmente un compagno smarcato, calcia un potente rinvio dalla sua area: “Dove va, va”. Il pallone traccia un interminabile arco, rimbalza davanti ad un impreparato portiere avversario, lo scavalca e finisce in rete.

Aveva segnato Becchio. Il portiere. Su rinvio.

Successe una cosa che mai si era vista attorno a quel campo: per qualche secondo calò il silenzio. Nessuno dei presenti aveva mai visto nulla di simile. Di più: eravamo tutti intimamente convinti di aver assistito ad una cosa mai successa. Una prima mondiale, al Campo San Giorgio. Dopo il silenzio scoppiò un caos fatto di bocche spalancate e occhi sgranati. Tutti seguirono con lo sguardo il custode, che scese in campo intenzionato ad interrompere la partita. Voleva preservare intatto il luogo dell’evento, come si fa con una scena del crimine. Non bisognava calpestare eventuali prove, una cosa così.

Mentre gli avversari scalpitavano a centrocampo con il pallone sottobraccio, il custode si voltò verso il pubblico e proferì una frase enorme ed epocale: “Teh! Ciàma al Guinness dei primati!”.

Chiamare il Guinness dei primati, allora, voleva dire raggiungere la casa più vicina, chiedere di poter utilizzare il telefono e fare una lunga serie di chiamate internazionali, più o meno a caso. Un’idea folle, ma che tutti noi trovammo del tutto congrua. Alla fine il custode venne fatto allontanare e la partita ricominciò, ma nessuno la seguì più. Eravamo troppo impegnati ad immaginare - chi ad alta voce, chi tra sé e sé – che cosa sarebbe successo nei giorni seguenti. Prefiguravamo l’arrivo di chiassose troupes televisive da tutto il mondo, intenzionate a strappare un’intervista in esclusiva a Becchio, certamente, ma anche a noi, i quanto testimoni oculari.

Non andò esattamente così. Mentre attendevamo invano l’invasione dei giornalisti stranieri (brasiliani, immaginavo io, essendo l’evento pertinente al calcio) uscì un modesto trafiletto sull’“Eco dello Sport”. Vi si diceva, tra l’altro, che exploit simili erano già riusciti ad altri portieri. “Anche in campi di dimensioni regolamentari” si specificava con nostro estremo disappunto. L’articolo venne tuttavia ritagliato e attaccato con cura alla porta dello spogliatoio, senza lesinare sul nastro adesivo. Rimase lì in bella vista per mesi, dove ingiallì e si arrese infine all’azione insistita della pioggia, del vento, del sole.

Chissà che fine ha fatto, Becchio. Il campo San Giorgio è in disuso e l’Eco dello Sport non viene più pubblicato da anni. E siamo tutti molto più informati e smaliziati. Resta il fatto che noi, per qualche giorno, abbiamo toccato con mano la sensazione inebriante di essere dei privilegiati assoluti: gli unici al mondo ad aver assistito ad un gol su rinvio. Eravamo ingenui, e proprio per questo abbiamo potuto gongolare felici. E quell’emozione lì, non ce la leva più nessuno.

 

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