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LOCARNOHarry Belafonte a Locarno spara a zero sulle ingiustizie

06.08.12 - 18:24
Incontro con l'attore 85enne, ma con l'energia di un ragazzino
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Harry Belafonte a Locarno spara a zero sulle ingiustizie
Incontro con l'attore 85enne, ma con l'energia di un ragazzino

LOCARNO - Nasce il primo marzo 1927 a Harlem, il quartiere nero di New York. Harry Belafonte, figlio di una coppia giamaicana, è il prototipo dell'artista impegnato politicamente. Noto per avere nobilitato la musica caraibica – e per questo è stato soprannominato Re del Calypso – ha inciso diversi dischi e girato numerosi film. Ma soprattutto, e l'ha ripetuto al gruppetto di giornalisti e di giornaliste incontrato ad Ascona, non ha mai smesso e non smetterà mai di lottare contro le ingiustizie e a favore dei diritti umani e civili. Incontro generoso con un uomo di 85 anni che ha la grinta di cento ventenni. E non ha la minima intenzione di fermarsi.

Harry Belafonte, la sua carriera di artista è pressoché indissolubile da quella dell'attivista. Queste due parti di lei come hanno interagito reciprocamente?
“Non sono mai state separate e non si possono separare, anche se i giornalisti ci provano sempre. Io sono un attivista diventato artista e non un artista che ha deciso di impegnarsi politicamente. Ho subito visto nel potere dell'arte la forza del mondo, l'opportunità di lottare per la liberazione dello spirito e del corpo umano. Sono nato nella povertà e sono cresciuto nella povertà e molto presto ho preso l'impegno di cambiare le condizioni di vita di mia madre, della mia famiglia, dei vicini. Tutte persone che soffrivano a causa della loro condizione sociale”.

Le sue origini hanno determinato la sua forza di carattere?
“Quando ho cominciato il mio lavoro ho subito preso l'impegno di lottare contro la povertà e questa lotta primordiale ha fatto di me un attivista. Quando ho scoperto il teatro mi sono reso conto del potere degli artisti, di che cosa significasse avere un palcoscenico, essere ascoltati. E così ho realizzato di avere una grande opportunità e che il teatro sarebbe diventato la mia bandiera di libertà. Allora non avevo nessuna idea dell'impatto e del successo che avrei potuto avere. Ma sapevo che dovevo farlo. E poi la buona fortuna mi ha sorriso, portandomi successo e celebrità”.

La celebrità ha cambiato la sua vita?
“Mi sono chiesto che cosa avrei potuto fare con la sua forza e il suo potere. Non ho avuto il minimo dubbio: metterla celebrità al servizio della lotta, al servizio dei bisogni umani”.

E' stato ispirato da qualcuno?
“Il mio mentore è stato Paul Robeson, avvocato, cantante, attore e grandissimo attivista per i diritti civili negli USA. Un giorno mi disse: 'essere un artista ti conferisce una tremenda opportunità, perché gli artisti devono essere dalla parte della verità. Se fallisci in questa missione, ossia usare le parole dell'artista che sei, mettendole al servizio della verità, allora avrai perso'. Le istruzioni di Paul erano state molto precise e determinanti per me. Avevano avuto il valore di  una vera e propria dichiarazione.

L'arte può tutto?
“L'arte può tanto. L'arte è più forte della religione. Perché attraverso di essa la religione si esprime e si diffonde. Basti pensare ai salmi, alle musiche, agli affreschi sacri, alle chiese, alle scritture. Un teologo della liberazione parlava spesso con me del potere della Bibbia e dell'arte. E mi disse: 'Quando leggi la Bibbia devi fare due cose: dimenticare la scienza e amare la poesia'”.

Ha voglia di condividere con noi un momento importante e particolarmente felice della sua vita di artista e di attivista?
“Vi riporto allora al 28 agosto del 1963, al termine di una marcia di protesta per i diritti civili, davanti al Memorial Lincoln, a Washington. Io ero lì con il reverendo Martin Luther King, quando pronunciò quel discorso che sconvolse, per la sua forza, le coscienze del mondo: 'I Have a Dream'. Un discorso, il suo, che segnò la storia degli Stati Uniti d'America.  Fu un momento di un'intensità tale che non scorderò mai”.

Qual è il suo sogno?
“Il mio sogno? Ne ho avuti tanti: la fine della guerra, la pace, insomma i sogni eterni di chi vuole un mondo migliore. Ma guerra e assenza della pace sono dei veri incubi, per questo abbiamo il dovere di lavorare affinché i nostri sogni non si spengano. Se penso a quello che sta accadendo oggi in America, che mi riguarda da molto vicino, mi rattristo”.

La situazione in America è così grave?
“Ci sono una serie di evidenze che non possono non far riflettere. L'America detiene il triste primato di avere la popolazione carceraria più alta al mondo, molto di più della Cina, dell'India, nonostante questi paesi siano più popolosi degli USA. La maggior parte dei penitenziari americani, è abitata da giovani uomini di colore. E' una tragedia immensa che avrà conseguenze molto gravi, soprattutto in termini di povertà. Se l'America davvero vuole essere una nazione da cui trarre ispirazione, per esempio in termini di libertà, deve cambiare profondamente il suo carattere. Per essere un paese credibile, deve lottare di più per la verità e per maggiore verità. Sono sicuro che ce la farà, ma il momento che stiamo vivendo è particolarmente pericoloso.

Perché?
Basti vedere che cosa sta succedendo nella campagna elettorale, il Tea Party, il pesante e devastante clima sociale. Si stanno cambiando le leggi in modo quasi silenzioso: puoi essere arrestato senza ragione, puoi essere messo in prigione senza vedere un avvocato. Noi americani dobbiamo essere estremamente vigili. Ma noi tutti, in fondo. I tempi bui del fascismo e del nazismo possono tornare ancora, anche in America.

Quattro anni fa si era apertamente schierato per Barak Obama, e quest'anno?
“Obama mi ha deluso. Ma evidentemente voterò ancora per lui. Non ha usato bene il potere che la gente gli ha dato, ma ha fatto quello che ha potuto, credo. Sono molto fiero che un uomo di colore sia diventato presidente degli Stati Uniti, ma non per il suo colore della pelle, ma perché sono tutti gli americani ad averlo votato”.

Come giudica i media e il mondo attuale dello spettacolo?
Credo nel ruolo dell'arte come portavoce della verità. Tuttavia oggi le banche e i gruppi di interesse, non solo controllano artisti, studi cinematografici e gallerie d'arte,  ma anche i mezzi di comunicazione. Anche voi giornalisti non siete liberi. Ma non possiamo permettere che l'arte e l'informazione capitolino. Dobbiamo resistere. Perché il prezzo che pagheremo sarà molto alto.

Un esempio della responsabilità dell'informazione?
Guardate quel ragazzo che credeva di essere Batman e ha fatto fuori delle persone? I media hanno continuato a parlarne in termini spettacolari, senza indagare le profonde sfumature della vicenda perché al gruppo editoriale va bene così. Anche voi giornalisti dovete lottare per essere liberi.

'Sing your song' è un film che narra la sua vita. Che messaggi spera di lanciare?
“Spero di sensibilizzare le future generazioni sull'importanza della verità. E' importante mostrare che a volte è stato possibile arrivare a un percorso di libertà senza ricorrere alla violenza o a bagni si sangue. Bisogna sempre trovare nuovi approcci per affrontare l'oppressione. E mai lasciarsi ridurre al silenzio. Io credo che i social network potranno giocare un ruolo importante nel tenere alto la bandiera della libertà”.

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