Cerca e trova immobili

LOCARNOElsa Martinelli: "Che fatica trasformarmi in una prostituta"

01.08.12 - 17:45
In un'intervista Elsa Martinelli si mette a nudo e racconto cosa vuol dire essere una diva "controvoglia"
Foto Keystone
Elsa Martinelli: "Che fatica trasformarmi in una prostituta"
In un'intervista Elsa Martinelli si mette a nudo e racconto cosa vuol dire essere una diva "controvoglia"

E' una delle più hollywodiane delle star italiane. Elsa Martinelli, classe 1935, ha avuto come amici – e che amici – personalità del firmamento del cinema e della politica:  John Kennedy, Paul Getty, Orson Welles, John Wayne, Robert Mitchum, Coco Chanel, Kirk Douglas, Brigitte Bardot, Mario Monicelli. Un elenco che potrebbe continuare, tanto la Audrey Hepburn italiana ha fatto parte del divismo internazionale. Quasi un paradosso per la “diva controvoglia”, etichetta, come ci ha detto, che le calza a pennello, dal momento che al cinema ci è arrivata davvero per caso. Tutta colpa di una copertina sulla rivista americana “Life”, che attira l'attenzione dell'attore americano Kirk Douglas, che la vuole accanto nel film “Il cacciatore di indiani”.

A Locarno Elsa Martinelli si presentata elegante, raffinata, icastica, algida quanto basta per tenere le distanze. Incontro misurato con il pubblico.

Elsa Martinelli ha esordito nel cinema negli Stati Uniti e in un genere – il western – che le attrici italiane non praticano. Come è stata quell'esperienza?
“E' stato il primo e l'unico film western. Ed è stata una fatalità. Ero famosa come fotomodella, apparivo dunque in tutte le grandi riviste americane di moda, ero soprattutto un volto nuovo nell'epoca delle donne prosperose con riccioli e ciuffi in abbondanza. Io ero magra, avevo i capelli lisci e uscivo da tutti gli schemi del momento, dal prototipo della donna che fino agli esordi di Audrey Hepburn era andata di moda. Il mio, in fondo, è stato un incontro tra un cinema che voleva cambiare e io che non c'entravo niente e che non avevo nessuna intenzione di fare cinema. Del resto sulle prime quella proposta l'avevo rifiutata; poi mi sono lasciata convincere e ho vissuto quella prima esperienza cinematografica come un'avventura. Non è che avessi molta voglia di girare nell'Oregon, ma è stata la scoperta della possibilità di viaggiare a farmi fare il mio primo film".

E il suo primo film in Italia?
“Ho avuto la fortuna di esordire in Italia con il mio primo film “La risaia” di Raffaello Matarazzo, che ha avuto un successo enorme. Il signor Matarazzo è il regista che davvero mi ha fatto amare il cinema. Perché il cinema bisogna soprattutto impararlo, perché non ci sono solo le riprese, ma anche la noia delle attese, delle alzate alle 6 di mattina, del lavoro 12 ore al giorno, a qualsiasi ora e a qualsiasi età. Matarazzo, grandissimo uomo di cinema, mi ha fatto capire l'importanza della precisione, del movimento, dell' essere presente.  Raffaello era un uomo docile, capace di lavorare con gli attori e le attrici. Grazie a lui ho cominciato ad affezionarmi al cinema, tant'è vero  che immediatamente dopo girai “Donatella”, di Mario Monicelli,  che mi valse l'Orso d'argento come migliore attrice a Berlino. Dunque grazie a soli due film, io avevo imparato a muovermi. Ho avuto la fortuna di essere diretta da due registi di grandissimo calibro”.

“La risaia” parla della realtà delle mondine, che cosa le è rimasto di quel film?
"
Un film molto triste che parla di una realtà durissima per le donne. Non pensate a me;  io, la in mezzo, non c'entravo proprio niente. Erano invece vere le mondine le donne che mi stavano attorno.   E posso dire che quel mestiere era semplicemente spaventoso, uno dei peggiori che una donna potesse accettare per vivere. Matarazzo ha colto tutte la dimensione umana della vicenda e l'ha riportata nel film. Me lo ricordo sensibile, colto e generoso. E ha saputo mettere in luce il lavoro delle mondine, con le lunghe immagini sulle estese risaie che in “Riso amaro” non ci sono".

E Mario Monicelli, che regista è stato?
“Monicelli, al contrario di Matarazzo, era un uomo di pochissime parole, semplice, carino. Era un regista in anticipo sui tempi e il regista al mondo con cui ho lavorato più facilmente. Era capace di invenzioni sul momento per facilitare le riprese. Questi sono i grandi registi”.

E che dire di Howard Hawks, uno dei grandi maestri del cinema hollywoodiano?
“La grande differenza tra gli europei e gli americani è che questi ultimi sono dei grandi professionisti. Il loro mestiere, a qualsiasi livello, lo prendono come un lavoro fatto e finito. Danno il massimo, sono puntualissimi, sono rispettosissimi e non si mettono mai in discussione con il regista. Che è il generale del film e che gestisce tutti. Io ho girato con gli attori più grandi – Marlon Brando, Robert Mitchum, Charlton Heston, John Wayne – e non ho mai visto nessuno di loro discutere una scena o cercare di cambiarla. Mentre in Italia succede molto spesso e per me è una delle grandi pecche degli attori e delle attrici europee”.

Ma che persona è  Howard Hawks, che per noi è una leggenda del cinema?
“Ha fatto incredibili film e di tutti i generi. Un uomo affascinante che ha sempre girato con belle donne. Mi scelse perché mi aveva visto nel film di Roger Vadim “Et mourir de plaisir” e perché gli piaceva l'idea di lanciare giovani attrici. Era un uomo estremamente elegante. Siamo stati in Africa quattro mesi: ebbene io non ho mai visto un uomo con le scarpe così lucide in vita mia. Sembrava lui il primo attore. Me lo ricordo dolce e gentile nello spiegare ciò che voleva”.
 
Di certo con Orson Welles nessun attore si permetteva di discutere per cambiare la scena?
“No, ma va detto che lui era un personaggio straordinario. Con lui ho girato tre film. Lo conoscevo bene perché abbiamo abitato Parigi. La prima volta era venuto a casa mia perché voleva girare un documentario su Roma. Io ero molto stanca perché avevo appena messo al mondo mia figlia. E lui, molto attento e sensibile, non aveva insistito. Siamo diventati amici subito. Come regista era incredibile. Non aveva copioni da distribuire agli attori. Ti raccontava la storia e poi ogni giorno ti dava un foglio con le battute e ti lasciava un grande margine di interpretazione”.

Che ricorda ha del film “Un amore a Roma” di Dino Risi?
“Con Dino Risi era difficile non ridere, come con Alberto Sordi, perché era un personaggio estremanente ironico. Del resto guai a non avere ironia nella vita. Il mio ruolo era abbastanza drammatico, ma appena smetteva di girare iniziavano subito le battute. Aveva quella leggerezza di ottenere dagli attori e dalle attrici quello che voleva. Solo con il sorriso e con la gentilezza si possono ottenere le cose migliori e il massimo dagli attori”.

Il suo film preferito?
“La notte brava” di Mauro Bolognini. Era il 1959, un periodo dove sono fioriti un sacco di giovani di talento. C'era grandissimo fermento.  Intorno a questo film, liberamente tratto dal romanzo “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini, c'era grandissimo entusiasmo. Questo film me lo ricordo perché io dovevo interpetare la parte di una prostituta di strada, un ruolo che Pasolini e Bolognini volevano assolutamente farmi fare. Io ero magrissima, secca, e il produttore proprio non mi ci vedeva in quei panni. Avevano provato in tutti i modi a trasformarmi, con costumi vari, ma niente. Piero Tosi, uno dei più grandi costumisti italiani, alla fine ebbe il colpo di genio: “Elsa devi cambiare la testa”. Allora mi misero una parrucca nera, a caschetto corto, tipo Louise Brooks, con gli occhi truccati di nero. E così diventai la prostituta della notte brava”.

 

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE