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INTERVISTALa musica? È improvvisazione! Benvenuti nel regno del jazz.

30.04.12 - 08:51
A colloquio con Romeo Tedde, giovane chitarrista italiano, che ci racconta la sua esperienza nel mondo delle jam session
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La musica? È improvvisazione! Benvenuti nel regno del jazz.
A colloquio con Romeo Tedde, giovane chitarrista italiano, che ci racconta la sua esperienza nel mondo delle jam session

IRAGNA - “Che cos'è il jazz? Amico, se lo devi chiedere, non lo saprai mai”. Così sentenziava Louis Armstrong. Ma cosa ne pensano le “nuove leve”? La parola a Romeo Tedde, giovane chitarrista italiano, che ci racconta la sua esperienza nel mondo delle jam session.

Quando è nata la tua passione per la musica?
"Posso dire di essere cresciuto a “pane e musica” grazie a mio padre, che era ed è tuttora un vero melomane. All'epoca faceva il marinaio e viaggiava sempre. Ricordo che un giorno trovai una vecchia cassetta che aveva acquistato anni prima in America. Era l'album solista extrapolation di John McLaughlin, datato 1969. Lo ascoltai e ne rimasi profondamente colpito. Avevo solo 12 anni, ma da quel momento la musica mi apparve come un universo da esplorare".

Puoi spiegarmi, a grandi linee, che cos'è una jam session?
"La jam session è una riunione tra musicisti, professionisti e non, in cui si suona senza nulla di programmato; si creano dei groove e si improvvisa sugli standard, ovvero sui temi conosciuti".

Quali sono le difficoltà in questo tipo di performance?
"Puoi ritrovarti a suonare con persone di qualsiasi livello; alcune hanno un bagaglio musicale piuttosto limitato, altre sono avanti “anni luce”. Non sempre si instaura una sintonia, ma tutto sommato ci si diverte ugualmente. È un'esperienza che arricchisce".

Sono molti i locali adibiti alle jam session?
"No, non molti, perché la partecipazione è scarsa. Spesso si allestiscono sistemazioni estemporanee. Tuttavia ci sono alcuni locali piuttosto noti, come il Nick Masaniello a Genova".

Pensiamo al jazz nel suo periodo d'oro, quando i locali notturni, da New York a Parigi, traboccavano di musicisti provenienti da ogni parte del mondo. A quell'epoca la musica era un potente mezzo di aggregazione. Che cosa è cambiato?
"Penso che la musica non abbia età, ma i generi hanno periodi più o meno favorevoli. All'epoca il jazz era molto seguito perché si suonava in modo diverso; ogni esibizione era uno spettacolo per gli occhi e per le orecchie, di conseguenza il pubblico partecipava attivamente. I musicisti erano degli intrattenitori. Basti pensare ai batteristi degli anni '50 e alle loro performance da “giocolieri”. Questo aspetto, in effetti, è venuto un po' a mancare".

Negli anni '60 anche i musicisti rock iniziarono a cimentarsi con le jam session, sottraendole, in un certo senso, al “monopolio” del jazz. Sei d'accordo?
"Certo. La jam session ha un legame privilegiato con il jazz, ma non esclusivo. Anche la strimpellata in saletta con gli amici è una jam session. Ciò che conta è lo spirito, la volontà di esprimersi liberamente attraverso il linguaggio musicale".

La Svizzera propone diversi eventi rivolti agli amanti del jazz. Che mi dici dell'Italia? Pensi che il genere sia apprezzato da un vasto pubblico?
"Purtroppo in Italia il pubblico devoto al jazz è quasi un'élite; da una parte per volontà dei professionisti stessi, dall'altra per lo scarso interesse nei confronti di uno stile che non è di immediata comprensione. Ritengo che in Svizzera si dia maggiore spazio alla musica non “commerciale”. Inoltre la programmazione radiofonica offre un palinsesto particolarmente vario, cosa che in Italia non avviene".

Hai già avuto occasione di suonare in Ticino, dove attualmente vivi e lavori?
"Purtroppo no, ma spero di avere presto l' opportunità di farlo. Vi terrò aggiornati!"

Descrivimi la jam session dei tuoi sogni..
"Ecco la mia jam session ideale quanto irrealizzabile: Miles Davis alla tromba, il sottoscritto alla chitarra e, per completare il team, due mostri sacri del jazz: Jaco Pastorius, già bassista dei Weather Report, e Steve Gadd, batterista di fama mondiale, che ha suonato con artisti del calibro di Eric Clapton e Paul McCartney".

Quali sono, a tuo avviso, le doti necessarie per farsi strada nel mondo della musica?
"In primo luogo, penso che una buona base economica non guasti. Se devi lavorare tutto il giorno hai ben poco tempo da dedicare all'arte e suonare inizia a diventare un semplice hobby. Cosa che sto cercando di evitare con tutte le mie forze. Inoltre, a mio parere, serve una certa propensione all'altruismo. La gratificazione deriva da ciò che dai agli altri, dal pubblico e dalla sua risposta. Non si suona solo per se stessi".

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